*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK 64291 *** MASCHERE NUDE LUIGI PIRANDELLO COME PRIMA MEGLIO DI PRIMA COMMEDIA IN TRE ATTI 1921 R. BEMPORAD & F. — EDITORI — FIRENZE Librerie a Firenze, Milano, Roma, Pisa, Napoli, Palermo, Trieste Torino e Genova: S. Lattes e C. PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA per tutti i paesi compresi la Svezia, la Norvegia e l'Olanda _Copyright 1921 by R. Bemporad e Figlio_ 1921 — Tipografia Luigi Parma — Bologna — Via Tre Novembre, 7 PERSONAGGI FULVIA GELLI, (Flora e Francesca). SILVIO GELLI, suo marito. LIVIA, loro figlia. MARCO MAURI. La zia ERNESTINA GALIFFI. BETTA, vecchia governante. Don CAMILLO ZONCHI. La vedova NÀCCHERI. GIUDITTA, sua figlia. Il fattore ROGHI. Il signor CESARINO, organista e maestro di musica. La signora BARBERINA, sua moglie. Un commesso di negozio. GIOVANNI, giardiniere Una bambinaja. Il primo atto, in un paese della Valdichiana; il secondo e il terzo, in una villa presso il lago di Como. — Oggi. ATTO PRIMO SCENA Una sala della _Pensione Zonchi_: vasta sala di vecchia casa a cui l'intonaco nuovo non riesce a mascherar la vecchiaja. Un ampio e alto uscio a vetri nel mezzo lascia scorgere la scura saletta d'ingresso, che ha in fondo, a sua volta, un usciolino aperto sulla scaletta dell'orto, di cui si vede il pianerottolo con la ringhierina di legno verde, scolorita. Lo sfondo, oltre questa ringhierina, è di cielo, e luminoso, perchè la casa sorge alta sul colle e da quel pianerottolo si gode la vista della grande vallata e si dòmina la via che da essa sale al colle, girandolo due volte. L'uscio a vetri, chiuso, non lascia più intravedere la saletta d'ingresso, perchè a una certa altezza ha sui vetri una tendina di mussola celeste, goffa e nuova, fissata rusticamente alle bacchette. Nella sala, il solito arredo delle vecchie pensioni di provincia, disposto con meticolosa simmetria. Una stufa di porcellana; un canapè d'antica foggia, con poltroncine e seggiole imbottite, adorni di cuscini e ricamini fatti in casa; una mensola non meno antica con un grande specchio dalla grossa cornice rameggiata e dorata, coperta da una garza celeste, ingiallita, a riparo delle mosche; vasetti con fiori di carta; una cantoniera con ninnoli di vecchia majolica; oleografie volgari, un po' annerite, alle pareti, e un'antica pendola che batte le ore e mezz'ore con un languido suono di campana lontana. Usci laterali a destra e a sinistra. Chiara mattinata, sulla fine d'aprile. Al levarsi della tela sono in iscena Don CAMILLO ZONCHI, il fattore ROGHI, la vedova NÀCCHERI e sua figlia GIUDITTA. Queste due sul pianerottolo della scaletta dell'orto, in fondo, guardano giù nella vallata, la Nàccheri con un binòculo, la figlia Giuditta facendosi solecchio d'una mano, se da lontano lontano, sulla via che sale al colle, si scorgano le vetture di ritorno dalla stazione ferroviaria. Don Camillo Zonchi e il Roghi sono nella sala; questi, seduto su una seggiola presso il canapè; l'altro in piedi. La vedova Nàccheri, sui cinquant'anni, ha un curioso parucchino ondulato fitto fitto e pieno di riccetti sulla fronte, stretto in una reticella. Il volto magro, angoloso, dagli occhi calvi, biavi, infossati, dà l'impressione d'una maschera, tutto bianco com'è di cipria e goffamente ritinto; ma con l'orribile effetto d'un teschio imbellettato. Veste giovenilmente, costringendo la vecchia persona a una ridicola snellezza e a una buffa formosità. Parla a scatti e con quasi legittimo impero al cognato; con piglio scostante, alla figlia, di cui è gelosa; agli altri, con una languida importanza di decaduta signora. La figlia Giuditta ha ventott'anni: abbandonata dal marito, è umile e trasandata; capelli cascanti, viso giallo incavato, e un'aria smarrita di povera bestia raccolta per carità. Don Camillo Zonchi ha cinquantaquattr'anni: canonichetto della Collegiata e maestro di scuola. È un omarino bruno, itterico, nervoso, con occhietti cattivi. Sopporta lo scandaloso impero della cognata friggendo d'umiltà vergognosa. Padrone della _Pensione_, vi figura da ospite della Nàccheri, a cui, almeno in apparenza, ne lascia il governo. È senza sottana, con una lunga giacca di saja nera; colletto da prete fissato alla sottoveste; calzoni a mezza gamba; calze lunghe di lana e fibbie d'argento alle scarpette. Il fattore Roghi, sulla quarantina, è un omaccione pesante, triste, dalla barba non rifatta da parecchi giorni. Ha una giacca alla cacciatora, un vecchio cappellaccio bianco in capo: grossi stivaloni da campagna, con sproni. DON CAMILLO (_in attesa, rivolto alle due donne che guardano dalla scaletta dell'orto_) No, eh? ROGHI (_dopo una breve pausa d'attesa_) Sarà un po' troppo presto. DON CAMILLO (_stizzito, in attesa ancora della risposta_) Ehi, Giuditta, dico a te! LA NÀCCHERI (_venendo avanti dalla scaletta, furiosa e schizzante veleno_) Crederei che se ci fosse da vedere, tra me e la Giuditta, a me e non a lei dovreste domandare, perchè con questo (_mostrando il grosso binòculo e pigiando sulle parole_) se ci fosse da vedere — vedrei meglio io, che lei. DON CAMILLO Eh no, abbiate pazienza, Marianna. Anche con queste (_mostra le lenti e se le inforca sulla punta del naso_), tra me e il signor Roghi, vedo sempre meno io, che lui. ROGHI Ah sì, grazie a Dio, la vista... LA NÀCCHERI Ma anch'io, signor Roghi, anch'io! Non ho punto bisogno di lenti io, sa? nè per leggere, nè per cucire, nè per veder qua entro certe cose, che Dio sa se s'avrebbero a vedere! DON CAMILLO Eh via, Marianna! Non è di cose da veder qua entro che si discorre; ma delle vetture giù a valle, Dio buono, se non si scorgano di ritorno dalla stazione. GIUDITTA (_che ha seguitato a guardare_) Eccole, eccole! Già due! Ma vanno in giù! La Nàccheri corre a guardare col binòculo. DON CAMILLO In giù? O come in giù? Possibile? GIUDITTA Sì. Eccone un'altra! La vettura di Dodo. LA NÀCCHERI Ma che di Dodo! Quella di Dodo è la prima! GIUDITTA No, mamma; guardate bene: è la terza. LA NÀCCHERI La prima! DON CAMILLO O la prima o la terza, se vanno in giù... LA NÀCCHERI (_voltandosi di là verso il cognato, inviperita_) Vi dico che è la prima! ROGHI Mi par difficile che si possano distinguere a tanta distanza. Si vedran di quassù piccine piccine, così (_fa segno sull'indice_). E Dodo, mi scusi, signora Marianna, l'ho visto io partir di piazza dopo gli altri. LA NÀCCHERI Questo non vorrebbe dir nulla, perchè ha un cavallo, Dodo, per sua norma, che è un demonio peggio di lui. Anche a partir l'ultimo, arriva sempre il primo. GIUDITTA (_alla madre, guardando sempre_) E difatti, guardi, guardi: ha già sorpassato la seconda e sta per sorpassar la prima. Tant'è vero che è lui! La Nàccheri scrolla le spalle e viene in sala. DON CAMILLO Io non so, saran tutte in ritardo stamani. A quest'ora, di solito (_la pèndola batte le undici_) ecco, sono le undici — gli altri giorni, alle undici, son di ritorno e si vedono alla seconda girata dello stradone su per la costa. A proposito, Giudi... (_s'interrompe, imbarazzato, cercando di riprendersi_) — cioè, dico... LA NÀCCHERI (_di nuovo inviperita, chiamando_) Giuditta! E vieni, corri qua a sentir che altro vuol domandarti tuo zio! DON CAMILLO (_c. s._) Ma niente, niente... Volevo dire una cosa... (_forzandosi a far viso fermo_) una cosa appunto, che mi pareva da domandar a lei piuttosto che a voi. LA NÀCCHERI (_sfidandolo_) E su, ditela! Sentiamo! DON CAMILLO (_volgendosi al Roghi_) Ho insegnato al signor professore, prima che partisse, la malizia di far fermare al ritorno la vettura giù sotto al nostro orto, per tagliar la salita alla scorciatoja, anzichè fare, con la vettura al passo, tutta la girata fin quassù in cima. LA NÀCCHERI (_c. s._) E poi? DON CAMILLO Volevo appunto domandare alla Giuditta, se si era ricordata d'andare ad aprire il cancellino dell'orto giù. LA NÀCCHERI Niente altro? (_Rivolgendosi alla figlia, che si tiene in discosto, mortificata_) Su, e rispondi a tuo zio, se ti sei ricordata! GIUDITTA (_guardando in là, infastidita_) Ma sì, sì, è aperto. LA NÀCCHERI (_con un inchino ironico al cognato, come se lo facesse per conto della figlia_) È aperto. — Un ordine dello zio! Mi pareva assai che non se ne fosse ricordata! Avesse mai obbedito così a suo marito! Non mi sarebbe rimasta lì melensa per casa; sulle braccia, e così, nè acerba, nè matura. ROGHI Ma è poi sicuro, don Camillo, che il professore ritornerà stamattina? Non vorrei star qui ad aspettarlo inutilmente. DON CAMILLO Ma che! Per ritornare, ritorna di sicuro! LA NÀCCHERI Vorrei vedere che non ritornasse! — Ah, io sono stufa, sa! DON CAMILLO Per carità, Marianna! LA NÀCCHERI Stufa! stufa! stufa! DON CAMILLO State tranquilla, che ritornerà. — Ma non vi nascondo, caro Roghi, che mi par difficile, difficile per non dire impossibile, che voglia accettare il vostro invito. ROGHI Neanche per un semplice consulto? DON CAMILLO Ma neanche... ROGHI A me basterebbe che me la vedesse, la mia povera bambina! DON CAMILLO Eh, se vi riesce che vi venga a vederla! — Detto e fatto, ve la opera e ve la salva! ROGHI Dio volesse! Verrei a prenderlo subito subito con l'automobile. GIUDITTA Per essere, è la carità in persona! DON CAMILLO Già; ma non può. Capirete, dopo il miracolo di qui... LA NÀCCHERI (_interrompendo_) È giusto qui ci voleva codesto miracolo! DON CAMILLO (_con un'occhiataccia alla cognata, passando sopra all'interruzione_) Sparsa la fama, tutti vorrebbero averlo! ROGHI Ma come jeri, a un bisogno, è andato a Sarteano, così non potrebbe oggi...? DON CAMILLO Non può! Avrà più di venti richieste, a dir poco. LA NÀCCHERI E non ci mancherebbe altro che, per carità degli altri, tenesse qua noi nello scompiglio ancora per un mese! DON CAMILLO Lassù a Merate ha poi la figliuola... avrà i suoi affari. Era venuto qua per un giorno solo... LA NÀCCHERI E ne son passati la grazia di quarantacinque! GIUDITTA Par che la figliuola lassù non sappia ancor nulla. ROGHI Ah sì? Della madre qui? DON CAMILLO (_ammiccando e accennando con la mano all'uscio a destra_) Piano, eh! piano... S'è già levata di letto. — (_Misteriosamente al Roghi_) Ah, caro Roghi, come non siamo tutti esciti di cervello, io non lo so! ROGHI Con quel giudice, eh? DON CAMILLO (_irritato_) Ma che giudice! Ma che giudice! Non diciamo giudice, per carità! GIUDITTA (_molle molle, afflitta_) Un matto, s'ha a dire! DON CAMILLO (_incalzando_) Da legare, s'ha a dire! GIUDITTA (_lamentosamente_) Quel che ci fece vedere! DON CAMILLO (_collerico, incalzando ancora_) Il diavolo! Tutti i diavoli dell'inferno! Non mi ci fate pensare! LA NÀCCHERI (_che è stata a mirarli, zio e nipote_) Attento veh, attento, signor Roghi, come parlano adesso tutt'e due. DON CAMILLO (_stordito_) O come parliamo? LA NÀCCHERI Una, molle molle: (_rifacendole il verso con voce nasina_) «Quel che ci fece vedere!» E lui, là, come il rum che dà grazia alla ricotta: (_rifacendo il verso anche a lui_) «Il diavolo! Tutti i diavoli dell'inferno!» ROGHI (_non potendo tenersi di ridere_) Avete voglia di scherzare, signora Marianna! DON CAMILLO Già! Come se proprio ne fosse il momento... O che non è vero che qua s'è visto il diavolo? LA NÀCCHERI Ma no, eh, chè non istà bene, il diavolo in casa d'un sacerdote come voi. Il terremoto, si dice! E creda, signor Roghi, che mi sarei tanto spassata, io, a vederli ballare tutt'e due, zio e nipote, se per causa loro non fosse toccato di ballare anche a me! DON CAMILLO Se si potesse saper prima le cose! LA NÀCCHERI Gran merito allora, saperle dopo! DON CAMILLO Potevo mai supporre che il marito dovesse accorrer qui? LA NÀCCHERI Ma sì, che potevate, se lo chiamaste proprio voi! DON CAMILLO Nossignori! Nient'affatto! Io gli scrissi a Merate per il mio ministero di sacerdote, appena ricevuta la confessione. ROGHI Ah, quando la signora si tirò? DON CAMILLO Precisamente. Volle confessarsi. Per morire in pace con tutti, chiese per mio mezzo al marito il perdono de' suoi trascorsi. Ora il professore poteva rispondere alla mia lettera con un'altra lettera. Nossignori. Per sua bontà, preferì venire ad accordar di presenza il perdono. ROGHI E trovò qui quell'altro? DON CAMILLO Che c'era piombato da Perugia all'alba, poche ore dopo che la signora s'era ferita. Nel trambusto, in principio, non ce n'eravamo neanche accorti. GIUDITTA Non sapevamo chi fosse la signora... DON CAMILLO Si vide lui attorno al letto, che piangeva, piangeva, come non ho mai visto nessuno! ROGHI Eh, l'amante! LA NÀCCHERI Sì, amante... Che amante! — Uno dei tanti. — L'ultimo. ROGHI Ah, perchè la signora... Sì, dico, — andata proprio a male? LA NÀCCHERI Ma sì, roba... roba da guerra! GIUDITTA Piano, per carità! LA NÀCCHERI Ih che scrupoli! Non c'è poi mica d'aver tanti riguardi! DON CAMILLO Ma almeno per il professore! LA NÀCCHERI Sì — che vi pagherà le spese. Il fastidio, intanto, non ve lo paga, di sicuro! Di due mesi a momenti. DON CAMILLO Oh che discorsi! (_Poi, ipocritamente al Roghi_) La signora aveva abbandonato da tredici anni il tetto coniugale, e... (_abbandona la frase, socchiudendo gli occhi, a un indulgente gesto delle mani_). LA NÀCCHERI (_rifacendo smorfiosamente con aria compunta il gesto del cognato_) E... e... (_Subito, staccando_) Qua, dietro l'esempio, caro lei, una voglia abbiamo tutti, ma una voglia di farci male con la indulgenza e la sopportazione, che Dio, si spera, ne vorrà tener conto lassù, perchè quaggiù, quanto agli uomini, non si fa che rider di noi, gliel'assicuro io! DON CAMILLO Ma non è vero! LA NÀCCHERI (_staccando ancora_) Oh, ce n'è, dico, di paesi, in Valdichiana; e di pensioni qua, per la cura delle acque, dico, non c'è soltanto la mia! Ebbene: proprio qua doveva capitare codesta signora, e proprio da noi! Ma colpa sua, veh! (_indica il cognato_) Sua, e di quella lì! (_indica la figlia_). GIUDITTA Son io sempre la colpa di tutto... LA NÀCCHERI Se per te non fosse vangelo, sempre, tutto ciò che dice e fa tuo zio! — E così, m'intende, tutti i malanni, alla fine, mi si rammucchiano qui! — Ah, che! Non si maturerà mai nulla qui: (_cantarellando_) c'è troppe frasche! DON CAMILLO La vidi arrivar di sera, in legno! giusto con Dodo. Sola, mogia mogia, con una valigina... Io ritornavo da scuola... LA NÀCCHERI Non c'ero, io! GIUDITTA Ma noi si disse bene, mamma, che la pensione non era ancora aperta ai forestieri. LA NÀCCHERI E dunque, non si doveva pigliare! DON CAMILLO Di bujo, una signora sola... Insistette, chiedendoci posto almeno per la notte... GIUDITTA (_scotendo in aria le mani_) E la notte... LA NÀCCHERI Un botto, caro lei, nel silenzio della casa, che mi fece springar un palmo su dal letto! ROGHI Ma si tirò proprio al ventre? DON CAMILLO Che! Al cuore aveva mirato. LA NÀCCHERI Lo suppone lui! DON CAMILLO Ma sì! Mano di donna... Premendo il grilletto, la canna — voi capite — s'abbassò. Si ferì al ventre. GIUDITTA Accorremmo tutti. Poverina, sul letto... LA NÀCCHERI Poverina, già! ROGHI Eh via, in quello stato... DON CAMILLO Bianca come un cencio, sorrideva come a chiederci scusa, e diceva che non era nulla... — Lei scappò per il medico (_indica Giuditta_). ROGHI Il dottor Balla? DON CAMILLO Sapete com'è! ROGHI Se lo so! Mi sta lasciando finir così la mia povera figliuola! DON CAMILLO E anche qui difatti disse che non c'era più da far nulla; quando invece, venuto il professore, si vide che a operarla in tempo non ci sarebbe stato rischio di sorta; mentre, quando poi la operò lui, il marito, dopo quattro giorni, già tutta infetta, capirete, agonizzante, il caso s'era fatto disperato. GIUDITTA E quel matto lì che non voleva! non voleva! ROGHI Ah sì? — L'amante? Oh bella! Non voleva che il marito la operasse? DON CAMILLO Che! Fece il diavolo a quattro! Se la voleva caricar su le braccia e portar via, così moribonda, per non fargliela toccare! ROGHI Oh bella! DON CAMILLO Perchè diceva che, se il marito la salvava, era perduta per lui! GIUDITTA Ed era più contento che morisse! ROGHI E il marito? o come fece a sopportarselo davanti, e così accanto alla moglie? DON CAMILLO Se la prese con me! LA NÀCCHERI Che gusto! DON CAMILLO Già, come se non avessi fatto di tutto, io, per farlo andar via, prima ch'egli arrivasse. Non ci fu verso! — Tanto vero che non se ne volle andare, neppur quando arrivò lui, che dopo tutto, ohè, dico, era il marito! Giuditta a questo punto, si recherà di nuovo in fondo a guardare, se si scorgano le vetture di ritorno. LA NÀCCHERI E come gli tenne testa! Bisognava vedere! ROGHI Sì, eh? DON CAMILLO Col pretesto, capite? che in punto di morte non c'è più gelosie, e che il marito non poteva, dice, adontarsi di lui, dopo tredici anni e dopo ciò ch'era passato. Si dovette mandarlo via con le guardie. GIUDITTA (_dal pianerottolo della saletta in fondo, annunziando_) Ecco, ecco, ritornano le vetture! La Nàccheri accorre come una papera. DON CAMILLO Oh finalmente! GIUDITTA (_con un grido di spavento_) Oh Dio! Ma è lui! Lui, di nuovo qua! ROGHI Chi lui? DON CAMILLO Il matto? Di nuovo qua? LA NÀCCHERI Lui! sì! lui! lui! — Rièccoci daccapo! DON CAMILLO Ma come! Che altro, ora, vorrà qua? GIUDITTA (_ritirandosi impaurita_) Vien su di corsa! ha scavalcato il murello dell'orto! ROGHI È una bella sfrontatezza! DON CAMILLO E di nuovo in assenza del signor professore! Se lo ritroverà qui tra i piedi! LA NÀCCHERI E come giulivo! Fa i gesti, oh, così... così... (_agita in aria le braccia_). ROGHI Dateci man forte per carità, caro Roghi! Non bisogna farlo entrar qua dalla signora! — Andiamo, andiamo via tutti di là! (_indica la saletta d'ingresso e s'avvia spingendo fuori gli altri_) Chiudiamo quest'uscio! Chiudiamo quest'uscio! Richiude l'uscio a vetri, andando via col Roghi, con la Nàccheri e Giuditta. Quasi contemporaneamente s'apre l'uscio a destra e appare FULVIA GELLI, incerta, sgomenta, pallidissima, come una che sia stata or ora strappata dalle mani della morte. Ha tuttavia negli occhi un che di fosco; e il volto è come indurito, sassificato in una disperazione squallida e atroce. Venuta qui per morire, sprovvista di tutto, levandosi ora di letto, ha indossato — in mancanza d'altro — il suo abito di viandante perduta, che stride, in contrasto con quella disperazione del volto. Stridono ancor più i voluminosi magnifici capelli in disordine, sfacciatamente ritinti d'un color fulvo acceso, che le avviluppano come in una fiamma lingueggiante il volto disperato. Non ha avuto forza d'agganciarsi il busto sul seno, che è quasi scoperto, e pròvoca, ma frigidamente, poichè ella ha un evidente sdegno e un vero intimo odio per la sua bella persona, come se da un pezzo non le appartenesse più, e non sapesse più neppure com'esso è, non avendo mai, se non con feroce ribrezzo, condiviso la gioja che gli altri ne han preso. Muove alcuni passi per la sala, verso l'uscio a vetri chiuso, attraverso al quale giungono le voci concitate delle due donne, di don Camillo e del Roghi, che cercano d'impedire il passo a MARCO MAURI. A un tratto, però, questi, sbarazzandosi di tutti con uno strappo violento, irrompe spalancando l'uscio e si precipita su Fulvia (ch'egli chiama Flora) abbracciandola, stringendola a sè freneticamente. È sulla quarantina, bruno, magro, con lucidi occhi sfuggenti, da matto: quasi ìlari, pur nella più fiera esagitazione, ìlari e parlanti. Fronte rotonda, specchiante. Capelli da negro, crespi e gremiti, ma già in parte grigi, spartiti nel mezzo. Sopracciglia foltissime. Parla e gestisce con quella certa teatralità che è propria della passione esaltata: teatralità calda e sincera, ma che pure, a tratti, quasi vede sè stessa, e scatta allora per rimorso in gesti irosi, o scade, quasi in compenso, improvvisamente, in toni confidenziali, che fanno, per contrasto e così senza trapasso, un curiosissimo effetto. Fulvia tenta dapprima di respingere, quasi odiosamente, l'abbraccio; ma poi, investita, soffocata da quella frenesia, nello smarrimento della debolezza che il male recente le ha lasciato, vien meno e s'abbandona come morta tra le braccia di lui. MAURI (_liberandosi e spalancando l'uscio_) Via tutti, vi dico! (_precipitandosi su Fulvia e abbracciandola c. s._) Flora! Flora mia! Flora! Flora! — Libero! Sono libero! Ritorno a te, liberato! — Mi son liberato di tutto e di tutti! (_Notando che ella gli s'abbandona tra le braccia, riversa_) Flora mia! A questo grido, don CAMILLO, il ROGHI, la NÀCCHERI e GIUDITTA, che sono entrati nella sala dietro il Mauri e, sopraffatti dalla violenza, son rimasti sgomenti e sospesi a mirare il frenetico abbraccio, accorrono premurosi e minacciosi gridando insieme. ROGHI Ma non vede, perdio, che non si regge! DON CAMILLO Che violenze son codeste? GIUDITTA È svenuta! è svenuta! MAURI Svenuta? No! no! — Flora! DON CAMILLO (_aggressivo_) La lasci! via! — La lasci, e vada via subito di qua! MAURI (_senza dargli ascolto, sorreggendo Fulvia_) Flora mia... Flora... Flora... DON CAMILLO (_alle donne_) Ma levategliela dalle mani! Giuditta e la Nàccheri si fanno avanti. GIUDITTA Dia qua... dia qua... MAURI (_gridando minaccioso_) Non me la tocchi nessuno! DON CAMILLO Non appartiene mica a lei! MAURI Appartiene a me! a me! DON CAMILLO Ah, nossignori! — C'è qua il marito! MAURI E venga! — Dov'è? — Me la strappi dalle braccia, se è buono! ROGHI (_vedendo Fulvia tra le braccia di lui, così abbandonata, che quasi sta per cadere_) Ma la adagi almeno qua, per ora, in nome di Dio! (_indica il canapè_). GIUDITTA (_accorrendo e ajutandolo a sorregger Fulvia_) Qua, venga qua — qua: l'ajuto io! MAURI (_trasportando Fulvia sul canapè_) Non è niente, vi dico! Ora rinviene! GIUDITTA Vado a prendere i sali! (_corre via per l'uscio a sinistra; rientrerà poco dopo_). LA NÀCCHERI (_al cognato_) Ma che siete voi qua? Siete o no il padrone? ROGHI (_a don Camillo_) Questa infine è casa vostra! MAURI (_subito rizzandosi con gli occhi spiritati, grida sillabando_) Nossignori: — Al-ber-go! DON CAMILLO (_investendolo_) Che? dove? quando? Chi gliel'ha detto, albergo? dove sta scritto? MAURI Sulla porta, giù: — _Pensione Zonchi_! DON CAMILLO Sissignore — ma d'estate! — Ora non è stagione, capisce? ed è casa mia soltanto; e vi ricevo chi mi pare e piace! MAURI (_gridando_) Non strillate così! DON CAMILLO (_restando, quasi sbalordito_) Ah senti: strillo io! MAURI Tanto è inutile: non me ne vado! DON CAMILLO Lei andrà via, andrà via, perchè... LA NÀCCHERI (_intromettendosi e terminando la frase_) Questa non è casa vostra! DON CAMILLO (_seguitando_) E non ha più nulla a far qui! Inteso? Il Mauri, per tutta risposta, poichè Giuditta ritorna coi sali, si china su Fulvia per farglieli odorare. MAURI (_a Giuditta_) — Dia qua! dia qua! DON CAMILLO (_al Roghi, indicandoglielo_) — Là — vedete come intende lui? MAURI (_chino su Fulvia_) Flora mia, son qua io... — Su, via... Sei salva, guarita... E io, libero — libero, sai? E ora ti porto via con me! DON CAMILLO (_rifacendosi avanti, risoluto_) Ah no, sa! Per questo, può star sicuro: — lei non porta via nessuno! MAURI Me l'impedirete voi? ROGHI (_facendosi avanti anche lui_) Potrei, a un bisogno, impedirglielo anch'io! DON CAMILLO Ma no: c'è il marito, caro Roghi, che sarà qui a momenti. MAURI E io son venuto per parlare con lui! DON CAMILLO Vi farà cacciar di nuovo! MAURI Vorrò vederlo! — Non s'era mica uccisa per lui, questa donna! — Per me, per me s'era uccisa!... E io, per lei — io, Marco Mauri — ho abbandonato il mio posto, la mia famiglia, mia moglie, i miei figli! (_Guardando tutti in giro; poi rivolto al Roghi_) Veda un po' se è possibile, che qualcuno ora mi stacchi da lei! DON CAMILLO (_vedendo che Fulvia, sorretta da Giuditta, comincia a riaversi e guarda come smarrita_) Ma sarà lei... ecco, ora... sarà lei stessa, la signora! MAURI (_subito voltandosi e accorrendo a lei_) Tu, Flora? Mi scaccerai anche tu? Fulvia leva una mano per tenerlo discosto e si volta verso don Camillo, ancora stordita, ma già fosca. DON CAMILLO Io la prego di credere, signora, che è entrato a forza, approfittando dell'assenza del signor professore! FULVIA (_alzandosi_) Che volete ancora da me — voi? DON CAMILLO Ecco! Come gli ho detto io! MAURI (_quasi trasecolato_) Flora!... Oh Dio... Mi dài del voi? FULVIA (_seccata, scrollandosi_) Ma se vi conosco appena! DON CAMILLO E voi l'avete ingannata, codesta signora: — Io lo so! MAURI (_violentissimo_) Statevi zitto, voi! DON CAMILLO Ingannata! ingannata! me l'ha detto lei! MAURI (_a Fulvia_) Come! Tu mi conosci appena? Me, Flora? me, che t'ho dato tutta la mia vita? FULVIA (_con nausea_) Ma finite una buona volta di parlare così! MAURI (_c. s. smorendo_) Oh Dio... Come parlo? — Ma tu piuttosto, Flora... FULVIA Io non mi chiamo Flora. MAURI Fulvia, sì, Fulvia, lo so! Ma se volesti tu stessa, che ti chiamassi Flora... FULVIA (_con crudezza, sdegnosa_) E volete dire anche come fu, davanti a codesti signori? MAURI (_ferito_) No! — Io? — Ah! — Ma allora veramente tu mi disprezzi? FULVIA (_rimettendosi a sedere, tutta assorta in sè, cupa, mormora, seccata_) Non disprezzo nessuno, io. MAURI (_insistendo_) — Perchè t'ingannai? FULVIA Ma no, vi dico! (_esasperatamente_). MAURI (_rivolgendosi a don Camillo_) Me lo rinfacciate? Ma se lo gridai io stesso a tutti, qua, che avevo dentro di me lo strazio d'un doppio rimorso! Anche davanti a tuo marito lo gridai! — Testimoni tutti qua! — Dite, dite se non gli gridai ch'era un impostore!... Impostore, sì, impostore! Perchè era «venuto a perdonare»! Lui: a perdonare! Quando avrebbe dovuto invece buttarsi in ginocchio, qua, davanti a te, e farsi lui perdonare — come me! come me! — qua, così, ecco! (_Le casca davanti in ginocchio e grida_) Perchè tutti l'abbiamo ingannata, questa donna! FULVIA (_si leva da sedere senza scatto e dice piano, frigidamente, con disperata stanchezza_) Dio mio, ancora codesto teatro... Che nausea! MAURI (_come se si vedesse con gli occhi di lei; lì in ginocchio, ma tuttavia non riuscendo a rialzarsi_) Ah sì! nausea, sì! Hai ragione. Mi vedo; me n'accorgo io stesso! (_Si copre la faccia con le mani, e dice piangendo_) Ma non sono io; è la mia passione, Flora! Non grido io: grida lei! Faccio nausea a me stesso, a sentirmi gridare così: ma non posso farne a meno! Non vorrei gridare, e grido! (_Si alza infine risolutamente, come se d'improvviso, a forza, si riprendesse_) Sono venuto qua però per dimostrarti, che non t'ho mentito, io, sai? La verità ti dissi: quella ch'era la verità per me; perchè non ho avuto mai nessuno io nella vita, veramente per me; — tranne te, per pochi giorni! — Venti — quanti sono stati? — non più di venti, in tutta una vita! FULVIA Sì, va bene. Venti. Sono finiti. E dunque, basta. MAURI No! Come basta? No! — Adesso, Flora? Adesso che è finito invece l'inganno? FULVIA Ma che inganno? di che inganno mi parlate? MAURI Del mio! di quello che ti feci! — È finito! finito! — Mi sono liberato! sono libero ora! FULVIA (_fissandolo fosca, come se cominci a prestarle attenzione solo ora, per qualche idea che già le si matura dentro_) Di che siete libero? MAURI Di disporre di me! Ho lasciato tutto! Il posto. Mi son dimesso. E mia moglie, sai? lei stessa, mi ha aperto la porta: — «Vattene!» — Felicissima. LA NÀCCHERI Oh guarda! MAURI (_voltandosi a lei, pronto_) Non mi ha mai amato! Non ha mai saputo che farsi di me! Vive per conto suo; ricca, con case e poderi. — Solo per un malvagio istinto andò a scovar lei (_indica Fulvia_) là, a Perugia — e le disse — (_si volta verso Fulvia, che si è di nuovo seduta, ma come assente, ancora assorta in sè_) che ti disse? che ti disse? — Io ancora non lo so! (_E poichè Fulvia non risponde seguita rivolto agli altri_) Forse lei, capite? lusingandosi di ridar la pace a una famiglia, se ne venne qua per levarsi di mezzo. (_Riaccostandosi a Fulvia, allegro, e lanciandosi a dire una cosa, che a un certo punto non gli par più facile a dire; tuttavia la dice, facendosi coraggio, con una sfrontatezza, che un po' fa pena, un po' fa ridere_) Ma ora l'inganno è finito! Figurati che... ma sì, non ho vergogna a dirlo... — lei stessa, con le sue mani, mi... mi diede.... sì, un po' di denaro, per farmene andar via. FULVIA (_levando il capo, subito, per impedire che altri ne faccia le meraviglie_) E poi? MAURI (_stordito dalla domanda inopinata_) E poi? Che vuoi dire? FULVIA Che farete poi? MAURI Che farò? — Oh! — Che farò poi? — Ma se ho te, ho tutto! Farò di tutto! Mi metterò a dar concerti... Posso — non nelle grandi città, s'intende. FULVIA (_freddamente e stranamente, alzandosi_) Mi farete il piacere di dire a lui tutto questo, appena sarà di ritorno. MAURI (_con gioja impetuosa, mentre gli altri restano come basiti_) Io? a lui? Sì? Vuoi che gli dica questo? FULVIA (_per troncare, più che mai fredda, rivolgendosi a don Camillo_) Dovrebbe già esser qui... DON CAMILLO Già... io non so... questo ritardo... MAURI E allegramente, sai? allegramente glielo dirò... Eh, ora che tu... Sono felice! FULVIA (_infastidita_) Vi prego... vi prego... MAURI Ma non sono stato mai io, Flora! Tu, invece — devi convenirne: sei stata tu a voler prender la cosa così sul serio! Fare quello che hai fatto, scusa!... Ma sì, via! — Per quel vecchio cammello là! ROGHI (_non potendo tenersi dal ridere_) Ah senti! LA NÀCCHERI (_contemporaneamente, gargarizzando_) Ah! ah! ah! ah! La moglie? cammello? DON CAMILLO (_contemporaneamente anche lui_) Ma non ve lo dico, che è matto? MAURI (_con perfetta serietà_) Un vecchio cammello, vi assicuro, signori. — Nove anni più di me. — Zotica! Contadina... Lei l'ha veduta! (_indica Flora_) — La sposai perchè aveva un pianoforte. LA NÀCCHERI (_c. s. più forte, irrefrenabilmente_) Ah! ah! ah! ah! Il riso si comunica per contagio al Roghi e a Giuditta. MAURI (_c. s. irritato un po'_) — Scusi, signora, se le dico che in questo, veramente, non c'è niente da ridere. ROGHI (_ridendo ancora_) Ma come no, abbiate pazienza! MAURI Perchè non capite che cosa voglia dire capitare a venticinque anni, pieno di sogni in un paesucolo più piccolo, più brutto — scusate — di questo vostro, e marcirvi quattro, cinque, dieci eterni anni, pretore! ROGHI (_a don Camillo_) Ah, ecco dunque, è giudice davvero! DON CAMILLO (_con forza convinta_) È matto! MAURI (_subito, serio_) Mi sono dimesso. — Una vita che non si può figurare! come nessuno di voi, che vi marcite dentro qua, può conoscere! — Neanche tu, sai, Flora; che pure hai conosciuti tutti gli orrori della vita! Ma, Dio mio, sono orrori almeno! — Non una vita fatta di niente. — Niente! — Ombra. — Silenzio d'un tempo che non passa mai. — Neanche acqua da bere. — Acqua di cisterna, amara, renosiccia... — Ma non sarebbe nulla! È quel silenzio! quel silenzio! Figuratevi che vi si sente anche un soffio di vento, quando scuote la fune della cisterna giù in piazza, e la carrucola che ne stride; mentre voi, dentro... — Ah! Un piano di vecchio tavolino, unto, polveroso, ingombro di carte giudiziarie — e una mosca che vi scorre a tratti, sopra. E tutta la vita lì, in quella mosca che voi state a guardare per ore e ore. — Ebbene, immaginate di sentire un giorno, in quel silenzio, il suono d'un pianoforte: l'unico del paese. Vi corsi incontro come un assetato! E sissignori, sposai quella donna più vecchia di me, che mi parve bellissima e intelligentissima, solo perchè aveva quel pianoforte. — Perchè musica, musica io ho studiato, capite? non ho mai studiato legge io. — Sono un musicista, io! — E quella — dacchè la sposai — m'ha chiamato sempre pretore. Sì, sì, e anche i figli! — Quattro — cresciuti con lei in campagna — a-nal-fa-be-ti. — Anch'essi, anch'essi — non mi chiamano mica papà! _pretore_ mi chiamano! anzi: — _Preto'!_, come la madre. — _È in casa il Preto'?_ — _No, è alla pretura, il Preto'!_ Scoppiano a ridere tutti, tranne Fulvia. ROGHI (_tra le risa_) Oh bella! oh bella! MAURI Ridete, sì, ridete! Voglio riderne anch'io, ora! — Me ne sono liberato, vivaddio! — D'amore e d'accordo — sì! Con qualche carezza, anche. — E l'avrei strozzata, v'assicuro! DON CAMILLO (_vedendo apparire dalla porticina dell'orto, in fondo, Silvio Gelli, che viene avanti tra quelle risa, costernato_) Oh, Dio sia lodato, ecco qua finalmente il signor professore! Alto di statura, SILVIO GELLI, di circa cinquant'anni, ossuto, poderoso, porta occhiali a staffa, cerchiati d'oro. Non ha barba nè baffi. Quasi calva la sommità del capo; ma lunghe ciocche di capelli biondastri, scoloriti, gli scendono scompostamente su la fronte e su le tempie. Egli se le rialza di tanto in tanto, e si tiene allora, per un tratto, le mani sul capo, come per un gesto di meditazione, che gli è abituale. Ha l'aria tra stordita e aggrondata d'un uomo che attraversi una grave crisi di coscienza. Ma vuol dissimularla. Per cui, spesso, resta quasi ottusamente inerte, con un sorriso freddo e vano, rassegato sulle labbra: espressione involontaria d'un che di beffardo, che è nella sua natura, e che quasi affiora a sua insaputa da antiche, maligne passioni, non ancora spente in lui, sebbene già da un pezzo domate. A urtarlo un po' in queste pause di ottusa inerzia, che sono in lui come ambigui arresti di difesa morale, egli s'intorbida: quel sorriso vano gli si scompone in una contratta smorfia di dolore, come se gli bisognasse che il dolore gli diventasse anche fisico, per poterlo sentire. Da queste contrazioni la sua fisonomia riassomma poi ricomposta, o meglio, quasi impostata in una grave e stanca aria di probità, che vorrebbe apparire da gran tempo serena, come lontanissima ormai da quelle passioni che pure or ora, in tempestoso fermento, lo hanno travagliato. Al suo entrare Fulvia si rizza in piedi felinamente, con lo stesso animo che, tredici anni addietro, la condusse alla perdizione. Ê per lei, questo, il momento d'una prova suprema. E in tutto il suo aspetto sarà dunque la risoluzione ferma d'affrontar questa prova, già meditata e preparata oscuramente nella scena antecedente, a costo di qualunque crudezza, mettendo a nudo come un vivo lacerto la sua coscienza e quella di lui, con la più brutale sincerità, avvalendosi anche della presenza di quel suo pazzo amante. SILVIO (_notando la presenza del Mauri, ìlare tra la ilarità degli altri, e l'aria di sfida della moglie_) Ah, di nuovo qua? MAURI (_irrompente_) — Sissignore. E son venuto per... FULVIA (_pronta, troncando, imperiosa_) Lasciate parlar me! (_Al marito, recisamente_) Qua di nuovo, sì. — Prega tutti questi signori di lasciarci soli. DON CAMILLO Oh, subito, signora. Soltanto tengo a dichiarare al signor professore... FULVIA (_interrompendo di nuovo, per troncare_) Che questo signore è entrato a forza. — Va bene! MAURI (_a don Camillo, accennando a Fulvia_) Ma se siamo già d'accordo! LA NÀCCHERI (_al cognato_) Se son d'accordo! Che storie! SILVIO (_a Fulvia_) L'hai forse chiamato tu? FULVIA Non l'ho chiamato io. — Dobbiamo parlar di questo. SILVIO Sento che c'è un accordo... FULVIA Nessun accordo. Non è vero! MAURI Io son venuto da me. FULVIA (_c. s._) Aspettate a parlare! DON CAMILLO E su, su, andiamo noi, andiamo via! (_invitando col gesto a uscire il Roghi, Giuditta, e la Nàccheri_). LA NÀCCHERI (_rivoltandoglisi_) Ecco, ecco... Ma diciamo anche noi, a nostra volta, al signore e alla signora, che noi qua... DON CAMILLO (_sulle spine_) Ma no, via, Marianna, che dite? LA NÀCCHERI Dico che siamo alla fine d'aprile, ohè! e che col maggio, voi sapete bene, cominciano a venire i forestieri per la cura delle acque. SILVIO Conto, per me, di ripartire prestissimo, signora. LA NÀCCHERI La prescriverà, m'immagino, anche lei ai suoi ammalati, signor professore! Ora, noi, qua, dobbiamo ancora rimettere in ordine la pensione, ecco! DON CAMILLO Ma non vorrei che il signor professore credesse... SILVIO Lei sa bene che ho ragioni impellenti d'andar via al più presto. ROGHI Ma se non dovesse oggi, signor professore — ecco, io vorrei... SILVIO (_accennando alla moglie_) Vi prego... ROGHI Sì, sì, attenda, attenda con comodo, signor professore! Io posso aspettare... aspetterò, ritornerò... DON CAMILLO Ritiriamoci, ritiriamoci adesso... Spinge fuori il Roghi, la Nàccheri, Giuditta ed esce per ultimo, inchinandosi e richiudendo l'uscio a vetri. FULVIA (_subito, nervosamente_) Ecco, Silvio. Questo signore, che conosco appena... MAURI (_ferito, protestando_) Ma no, Flora! FULVIA Vi ho detto di lasciare parlar me! MAURI Ma se gli dici così, scusa! FULVIA Che volete che significhi, per una come me, conoscere uno da poco o da molto? (_Voltandosi verso il marito_) «Flora» hai sentito? — Mi chiama Flora! MAURI (_in tono di rimprovero_) Fulvia! FULVIA (_precipitosamente_) No, no, Flora, Flora — sono Flora. — (_Di nuovo al marito_) Mi si chiama subito per nome, e mi si dà del tu. SILVIO A me premerebbe ora di sapere, come e perchè — dopo quanto è avvenuto — si trovi qua di nuovo codesto signore. FULVIA Ecco, sì. — Questo signore, Silvio, crede sinceramente ch'io abbia voluto uccidermi per lui. E non è vero! MAURI Ah, non è vero? FULVIA Non è vero. L'ho fatto per me. Ditegli come e dove m'avete conosciuta. Basterà per farglielo comprendere. SILVIO Ma io non voglio saperlo! FULVIA Ero arrestata. MAURI (_subito protestando_) No! Che arrestata! Che dici! FULVIA Con un mandato di comparizione, sì. Complicata in un volgarissimo delitto. MAURI (_c. s._) Ma che! Non creda! Prosciolta in Camera di Consiglio! SILVIO Vi dico che non voglio saperlo! MAURI (_seguitando con foga_) Venuta soltanto per deporre. Lo so io! Fu a Perugia, guardi, un mese appena dopo il mio trasferimento colà. C'era io nella sala del giudice istruttore, mio collega. Fu nel processo per l'assassinio d'un tal Gamba. FULVIA Con cui ero andata a Perugia. MAURI Sì, un pittore... FULVIA Ma che pittore! Un miserabile applicatore mosaicista della fabbrica di Murano. MAURI Già... venuto per restaurare non so che mosaico... FULVIA Un mascalzone che s'ubriacava tutti i giorni. MAURI E la picchiava! la picchiava! FULVIA Fu trovato morto, una notte, sulla strada, con la testa spaccata. Silvio Gelli si rialza i capelli sul capo e vi trattiene le mani. MAURI (_scattando al gesto di Silvio Gelli_) Orrore, eh? «_Fin dov'era caduta!_» eh? — Ma mi faccia il piacere! lasci andare! FULVIA (_subito, forte_) Non declamate, al vostro solito! MAURI (_senza darle retta, seguitando, ma in tono più basso, rivolto a Silvio_) Lei m'insegna che tutto sta nel togliersi d'addosso, una prima volta, sotto gli occhi di tutti, l'abito, che ci ha imposto la società. Si provi, lei che sorride... SILVIO Ma io non sorrido. MAURI Ha sorriso! — Si provi, si provi a rubare una volta cinque lire e faccia che venga scoperto nell'atto di rubare. Me ne saprà dire qualche cosa! — Ma lei non ruba... Grazie! — E questa disgraziata avrebbe fatto quello che fece, se lei, suo marito... FULVIA (_troncando, fierissima_) Basta! Vi proibisco di seguitare! SILVIO (_piano, calmo_) Io sono venuto qua... MAURI Per perdonare, lo sappiamo! SILVIO (_pronto, fermo, grave_) No! — Per riconoscere il danno degli antichi miei torti verso questa donna. Non m'aspettavo però che altri qua, oltre lei, potesse arrogarsi di rinfacciarmeli. MAURI (_subito, a sfida_) E riparare? FULVIA (_c. s._) Aspettate! Non sapete ciò che vi dite! MAURI No, io dico _riparare_, Flora! E lo dico davanti a lui! Perchè ho anch'io il mio torto verso di te. Tu mi hai perdonato, ma io sono qua per riparare, per riparare! FULVIA (_col piglio di chi non vuol discutere_) Dunque — sta bene — ecco — io ti volevo dir questo, Silvio: — che egli è pronto... MAURI (_insistendo, pigiando, sfidando_) A riparare, sì, a riparare! FULVIA (_esasperatamente, sdegnata, gridando_) Ma non dite a riparare — fate ridere — se io non vi riconosco il torto, di cui volete accusarvi! — Oh quest'è bella! — Avete mentito con me — come tanti... Che volete che me n'importi? (_Rivolgendosi di scatto al marito_) Senti forse anche tu qualche dovere verso me per avermi salvata? — No, niente, caro! Grazie! SILVIO (_stordito_) Come! Io... FULVIA (_subito incalzando, ma col tono di chi vuol ragionare_) Sei forse venuto qua come medico, per operarmi? SILVIO No. FULVIA (_c. s._) Ma anche operandomi — (cosa che nessuno però ti chiese di fare). MAURI Io m'opposi! io m'opposi! FULVIA (_c. s. senza badare al Mauri_) Io, per me certo, non te lo chiesi — è vero? SILVIO (_impacciato, come sopraffatto, non sapendo a che cosa tenda quell'interrogatorio_) No... — io lo feci... FULVIA (_subito, venendogli in a ajuto, con uno strano lustro negli occhi_) Quasi irresistibilmente, è vero? SILVIO Vendendoti in quello stato... FULVIA E dunque! — Ero come morta. Fu un miracolo anche per te! — Se sapessi come credo adesso ai miracoli! SILVIO Che vuoi, insomma, concludere? FULVIA Niente. Questo. Che non devi credere neanche tu d'aver adesso verso di me qualche dovere per avermi così... diciamo «restituito alla vita». — Nessun dovere, nessun dovere. Non ne accetto! — Nè da te, nè da altri. Nè doveri, nè riparazioni. SILVIO E che intendi di fare allora? MAURI Se ne viene con me! FULVIA Sono qua. Vedete voi... Giacchè mi trovo tra un dovere che riconosco insussistente, e un rimorso che dichiaro immaginario... SILVIO Tu sei sempre la stessa! FULVIA Ah, questo sì, vedi? questo sì, mi fa veramente piacere! Che i miei capelli tinti, questa mia faccia d'ora, non ti impediscano di vedermi ancora, di fronte a te, quella di prima! SILVIO Ma ti vedo adesso, così — in questo momento! Non ti ho veduta così in tutti questi giorni! MAURI Ci sono io, ora, qua! FULVIA (_subito, voltandosi a lui_) Voi non ci siete per nulla! Vi ho detto di non parlare! (_Rivolgendosi di nuovo al marito_) Mi hai veduta come un tempo? Perciò sei stato tutto... non so, come sospeso... SILVIO Io? FULVIA Sì, turbato, incerto... pentito dentro di te — ne sono sicura! SILVIO No, di che? FULVIA Ma d'aver fatto qua, inconsultamente, più di quanto t'eri proposto! SILVIO No! non è vero! — Non per questo! FULVIA Ma sul serio ti credi molto cambiato tu? SILVIO Potresti giudicarne dal fatto che mi trovo qua. FULVIA Ah, ma non t'aspettavi questo, venendo qua! SILVIO No — ah, questo no! questo no davvero! — Non sarei venuto! FULVIA (_pronta, con disprezzo_) E dunque puoi andartene! SILVIO (_contenendosi_) Io dico, che tu debba tenermi qua, ora, così, (_accenna al Mauri_). MAURI Ma so tutto io, sa! Di lei — so tutto! SILVIO Che sapete? Ciò che vi avrà detto lei, saprete! Dei miei torti. Non di ciò che ho sofferto per essi. FULVIA Molto hai sofferto? SILVIO Molto — se mi ha condotto qua. Non m'obbligherai a dirlo davanti a un estraneo. FULVIA Ah no, caro, fuori! fuori! — Perchè questo estraneo, caro, è qua, — non tanto per me — quanto per te. MAURI E io non sono un estraneo per lei! (_indica Fulvia_). SILVIO (_rispondendo a Fulvia_) — Per me? Che vuol dire? FULVIA Oh! d'un gran professore come sei ora, non s'immagina certo! Quasi ho soggezione io stessa, a dirlo. Ma se sono qua — e così — con questo accanto, o con un altro — via, tu sai bene che è per te — per te, com'eri prima! — Che vuoi? posso ricordarmi soltanto d'allora, io! Di quando giocavi con me, che avevo appena diciott'anni, come un gatto col topolino — per il gusto di vedere dove sarei arrivata. — Ecco qua, dove sono arrivata. — E tu hai molto sofferto! — Sarei curiosa di saper come. SILVIO Te l'ho detto, come. FULVIA No: scusa: m'hai detto anzi, che non ti riesce di soffrire. SILVIO Che non sento — t'ho detto, — di toccare la mia sofferenza: in me, in te... Questo t'ho detto! FULVIA Ah già! Il vuoto, sì. SILVIO Tu non puoi comprendere. E certe cose non si spiegano. FULVIA Non avevi nessuno con te? (_allude, con questo, alla figlia, e s'infosca più che mai_). SILVIO Mi vedevo inetto... FULVIA Indegno, no? SILVIO Anche indegno. Perchè ho riconosciuto, che tu eri andata via per causa mia. E perciò appunto non m'è riuscito mai di colmarlo, questo vuoto. FULVIA (_con sprezzo_) Ma dunque dici che hai sofferto per me! SILVIO No. Non come tu credi. Neanche in questo momento. No! Per la vita, che è così... MAURI Ah, questo è vero! Ha ragione! Anch'io, sa! SILVIO (_senza badargli_) Tu qua t'uccidi... un altro là impazzisce... chi crede di ragionare, e non conclude nulla... MAURI (_quasi tra sè_) La vita è brutale! Se lo so! SILVIO (_c. s._) Vengo qua, dico: «Muore; vuol andarsene in pace; va', va' accorri...» — E il mio sentimento s'infrange qua contro una realtà che non potevo immaginare. FULVIA Che vuoi fare ora? SILVIO M'hai aggredito, appena entrato — con codesto signore. Non vuoi doveri, non vuoi riparazioni. — Non so... Ti vedo decisa — non so a che cosa... FULVIA (_con voce improvvisa, come per una subitanea scoperta_) Tu non sai, caro mio, quanta malizia hai ancora nello sguardo, quando — senza volerlo — guardi di sottecchi. SILVIO (_stordito_) Io? FULVIA Tu, tu, sì. SILVIO Malizia? FULVIA Malizia, malizia. Me ne sono accorta così bene! ora, sì — or ora — come ti sei voltato a guardare così (_imita il modo_). SILVIO Fastidio, forse — o stanchezza. FULVIA No. Malizia, malizia. Quella di prima! Devi darti per forza, anche adesso, un'aria di fronte a me. Questa, o un'altra. — Tutti gli uomini ve la date! Ma dimenticate come le donne vi hanno veduto, quando non ve la date più, in certi momenti. Mi spiego? E perciò le donne ridono sotto il naso, poi, nel veder le arie degli uomini. — O ne provano dispetto o disgusto. — Ma questo ora non importa. SILVIO Tieni a liberarmi d'ogni dovere, per mettere a prova davvero, se sono o non sono cambiato? FULVIA No no — non per questo! Ma ecco — vedi la tua malizia? SILVIO No, Fulvia — credi! È soltanto perchè una prova su questo non potrei dartela! FULVIA E io non la voglio! — Non capisci che non voglio da te nessun obbligo _d'ora_? Io sono ora... quella che sono. Non voglio approfittarmi della tua venuta, vincolandoti per la vita che m'hai ridata. Di questa mia vita d'ora, di quel che sono ora, di tutto ciò che può accadermi ora, non m'importa più nulla — proprio nulla! E tu saresti uno sciocco, se te ne facessi qualche scrupolo. Sei accorso qua, perchè credesti che non potessi sopravvivere. Peggio per me, se non sono morta! MAURI (_con forza_) Ma ci sono qua io, Flora! FULVIA (_subito con leggerezza sprezzante, mostrandolo al marito_) Ecco — vedi? — c'è lui. — Volevo dirti questo! MAURI (_c. s._) Io: io — tutto per te! FULVIA (_quasi atterrita_) Per carità, non parlate d'amore! — (_Al marito_) Disposto, pronto a riprendermi con sè. MAURI Con me! Per sempre! FULVIA Bravo, caro! Come dicono i fidanzati. MAURI (_con forza_) No! — Come posso dirtelo soltanto io! FULVIA (_spiegando, come sopra al marito_) Ha lasciato per me moglie e figliuoli. — Anche il posto, non è vero? MAURI Tutto! FULVIA E m'offrirà una bellissima posizione! — Darà concerti in provincia! Peccato che la voce, con questa mia vitaccia, mi si sia arrochita! Ci metteremmo insieme: lui sonerebbe e io canterei! (_scoppia a ridere stridulamente_). MAURI (_ferito_) Tu dunque ridi di me? FULVIA (_subito_) No, no: credo, credo nella vostra bravura di pianista. SILVIO (_sdegnato_) Tutto questo, via, non è serio! FULVIA E ti fa molta impressione? — A me, nessuna. — Vi prego, insomma, di non darvi pensiero di me, nessuno dei due. Quante volte devo dirlo? — Stabiliamo così alla buona. — Ho vissuto per anni, caro mio, giorno per giorno. Mi sono mancate le cose più necessarie; e il domani senza certezza non mi spaventa più. Può passarsi, il destino, tutti i suoi capricci, con me. — Son cosa sua (_S'accosta al marito e lo guarda con uno strano, orribile ammiccamento di donna perduta_). — Anche quei tuoi, sai? SILVIO (_smorendo_) Che, miei? FULVIA (_ridendo, ma con un misto di pianto, in una convulsione che diverrà man mano più forte, quanto più, per vincerla, ella si strazierà, dicendo di sè le cose più crude_) Mah! quelli che ti passasti, quand'ero come una bambina, e m'insegnavi cose che mi parevano orribili! SILVIO (_per richiamarla a sè_) Fulvia! FULVIA Mi sono divenuti familiari. SILVIO (_c. s._) Fulvia! Fulvia! FULVIA Oh, sai, famosa! SILVIO Tu hai la voluttà di dilaniarti! FULVIA Con le tue mani, sì. — Le ho fatte sapere anche a lui, sai? Perciò egli spasima così di me! (_Subito — staccando — al colmo dell'orgasmo — grida tre volte_) Che schifo! Che schifo! Che schifo! (_Segue come un nitrito, e in un brivido lungo di ribrezzo, restringendosi tutta in sè con le mani afferrate ai capelli e il volto nascosto dalle braccia aggiunge_) Ah Dio, che schifo! Subito, Silvio e Mauri le si fanno accosto, premurosi e sconvolti, e mentre l'orgasmo di lei par che si scarichi in un tremore convulso, di freddo, le parlano insieme concitatamente. SILVIO Non è possibile seguitare così! MAURI (_supplice_) Ma come, Flora! Se ti ho tenuta come una santa! come una santa! FULVIA (_all'improvviso, rizzandosi ancora convulsa, ma di nuovo risoluta, e ponendo le mani sulle spalle del Mauri_) Sì, è vero, sì! — Voi, sì! (_subito correggendosi, spiccatamente_) Tu, sì! — Ma fammi il piacere: — zitto! MAURI (_felice, provandosi a prenderle una mano per baciargliela_) Oh Flora! Grazie! FULVIA (_ritraendo subito la mano, con ribrezzo_) No... no... no... MAURI Mi basterà che tu abbia così... pena... pena soltanto... codesta pena che hai, del mio amore, e niente più — niente! — È così dolce, che mi basterà. FULVIA (_in fretta_) Sì, va bene. (_Poi, rivolgendosi al marito_) Dunque, sarà così, — Vado con lui. — Puoi ripartirtene, caro, con la coscienza tranquilla d'aver compiuto una buona azione. SILVIO (_la guarda con occhi pieni d'una sofferenza atroce, poi contenendosi a stento, dice gravemente_) Io ti prego, Fulvia, di levarmi da questa situazione. FULVIA Ti dico sinceramente. Che tu sii venuto, — è una buona azione. Dell'altra che hai compiuto, quasi senza volerlo, e che non era certo nella tua intenzione, venendo — se si riduce per me a un cattivo servizio — in coscienza ti dico che non posso nè voglio fartene responsabile — dunque puoi proprio ripartirtene in pace con te stesso. — O al più, guarda — se proprio lo vuoi — (non ho più nulla del mio!) — vedi? e sono una donna veramente volgare — puoi darmi un po' di denaro — come a lui l'ha dato sua moglie! (_scoppia a ridere indicando il Mauri_). MAURI (_scattando_) No! — niente danaro! no! Non accettar danaro da lui, Flora! FULVIA Stupido! Non capisci che non è per noi? Dico per lui! Quanto più ne dà, per lui, meglio è. — Si vede così chiaro che (_pigiando con intenzione le parole_) — _non ostante ch'io faccia di tutto_ — gli persiste un certo rimorso. — Gli propongo, di liquidarlo in contanti. SILVIO (_non potendone più, con estrema risolutezza_) Basta così, Fulvia! — Io debbo parlarti! FULVIA (_con furore appena contenuto e aria di minaccia_) Ah, no, sai! Non arrischiarti ora a parlarmi di ciò che ti leggo negli occhi! MAURI (_tra sè, sogghignando_) Della figlia!... della figlia! SILVIO Debbo pure parlartene! FULVIA Guai a te, se lo fai! Ma non vedi che sto qui da un'ora a imbrattarmi di fango per impedirti di parlarne? SILVIO Non vuoi dunque che te ne parli? FULVIA No! SILVIO Mi provochi! FULVIA Se hai sfuggito di parlarne anche poc'anzi! SILVIO Te ne parlo adesso! FULVIA Ti sfido a farlo; con me così (_passa un braccio sul collo di Mauri_) decisa ad andarmene con lui! SILVIO Sta bene. — Vado... Ma bada che veramente tu perdi ora ogni diritto d'accusarmi! FULVIA Io? (_Rivolgendosi al Mauri_) L'ho accusato? (_A lui_) T'ho lodato; ringraziato; t'ho detto d'andartene via tranquillo. — Sei tu, là, impedito. Insisti tu! Vuoi parlare, per cercarti scuse, ch'io non ti chiedo. MAURI (_c. s._) Eh — lo specchio! lo specchio! SILVIO (_provocante_) Che dite voi, specchio? MAURI (_placido, quasi sorridente_) Quello, caro signore, che ci mettiamo noi stessi davanti, senza saperlo. Ce lo troviamo davanti; ci pare che ci parli un altro, e siamo noi stessi. — Io lo so bene. SILVIO Lo saprete per voi! MAURI Anche per lei, anche per lei! SILVIO (_a Fulvia_) Perchè mi butti in faccia un rimorso, ch'io stesso t'ho dichiarato e provato? FULVIA No, scusa: voglio levartelo! SILVIO Come? così? «imbrattandoti di fango» per accrescermelo? FULVIA (_con voce nuova, di disperata sincerità, quasi avvilita, come se fosse arrivata al punto di non poter più sostenere la sua parte_) Ah Dio, sono stata qua tanti giorni con lui — e lui stesso ha detto come — quella di prima — con tutto il cuore sospeso — il mio cuore d'un tempo — là, nella mia casa — il mio cuore di madre — tutti questi giorni in attesa che mi parlasse della figlia — dicendo a me stessa: «stai così... stai così... egli ora è buono!... è venuto... ora te ne parla, ora te ne parla...». SILVIO (_forte, vibratamente, per rompere la commozione di lei_) Ma se non potevo parlartene! FULVIA (_subito, violenta, cangiando tono anche lei_) E perchè vuoi parlarmene adesso? SILVIO Ma per dirti appunto perchè non te n'ho parlato! FULVIA Ora non voglio più saperlo! — Sono ragioni per te! SILVIO No, non per me! Per tua figlia! FULVIA Ragioni di non parlarmene? Anche per lei? SILVIO Unicamente per lei! FULVIA Perchè mi crede morta, è vero? — Eh, si sa! — Storia vecchia! — Chi gliel'ha detto? gliel'hai detto tu, che sono morta? SILVIO Non gliel'ho detto io... FULVIA L'ha creduto da sè, e tu gliel'hai lasciato credere? — E va bene. Basta. Lo supponevo. — Vuoi dire che il miracolo di farmi rivivere anche per lei, non puoi farlo? SILVIO No, dimmi tu, se lo credi, se lo vedi possibile! — Non faccio altro che pensare a questo da un mese. Subito, dacchè vidi la possibilità che tu guarissi. — Tu hai atteso che te ne parlassi. Ma non te n'ho parlato per questo! — Come si può fare? — Dimmi tu! — Rispunti a casa, ora, così? FULVIA (_con orrore_) No, no! SILVIO (_seguitando_) Dove sei stata tutto questo tempo? E perchè le si è lasciato credere che tu fossi morta, senz'esser vero? FULVIA Non è possibile — no! SILVIO Ecco — lo vedi tu stessa! FULVIA E credi che me n'importi? — Se fossi morta davvero... Ma non sono! Non lo dico per me, bada! Tu non sai ancora, caro mio, tutto intero il miracolo che hai operato! — Non me lo sarei mai atteso! — Stato di grazia! — Tornata per un momento come allora... Caro mio, se non puoi farmi rivivere per tua figlia, può lei ora, invece, rivivere per me! SILVIO (_stordito, costernato_) Che dici? per te? E come? FULVIA Lei — o un'altra — se l'ho già in me, per me è la stessa! SILVIO Fulvia, che dici? MAURI Come! — Tu dunque...? FULVIA E perchè sono così spensierata? — Per questo! — Non vedi che non m'importa più di niente? MAURI Ti sei lasciata riprendere da lui? SILVIO (_levandosi ormai d'ogni ambascia, d'ogni dubbio, con animo fermissimamente risoluto_) Ah — se è così — senz'altro, allora! FULVIA Che cosa? MAURI (_quasi tra sè_) Ma questo è un tradimento! SILVIO Avevo già pensato — prima che tu dicessi questo — che c'era forse un mezzo — uno solo — per riparare! FULVIA Che mezzo? Se mi hai uccisa per lei! SILVIO No — c'è! c'è! — E ora, senz'altro, bisogna che tu lo accetti, per quanto possa esser duro per te e per me. FULVIA E sarebbe? SILVIO Verrai con me! MAURI No, Flora! Non farlo! non farlo! SILVIO Lei ora lo farà! FULVIA (_a Mauri, per rassicurarlo_) Aspettate! (_Al marito, con aria di sfida_) Con te, dove? SILVIO Dove? A casa! FULVIA E come? SILVIO (_subito, con forza_) Come moglie! come moglie! FULVIA E se c'è lei che mi crede morta? SILVIO Ecco, sì — questo è duro — e irreparabile! — Ma bisogna superar questo, nel solo modo in cui è possibile! FULVIA Non capisco come dici! SILVIO Ma che tu sii moglie, anche se in apparenza per lei non potrai esser madre! FULVIA Moglie senz'esser madre? Ah, tu intendi «un'altra»? MAURI (_subito_) È una barbarie! è una barbarie! FULVIA Ma io non sono _un'altra_! SILVIO Certo! Sarà solo apparenza! Tu sarai pure la madre! FULVIA E lei mi crederà la matrigna? MAURI Non accettare, Flora! non accettare! È una barbarie! SILVIO Non c'è altro mezzo! — Se questa è una barbarie, che è meglio? la condizione che le offrite voi? MAURI Meglio, sì! centomila volte meglio! La fame, Flora... con me! Meglio! Pensa che strazio, essere _un'altra_ per tua figlia! SILVIO Se puoi sopportarlo... FULVIA (_subito, con sprezzo, ma già sopra pensiero_) Ma non è questo! Sopporto tutto, io! — Se la figlia è mia — io non sono un'altra — sono sua madre! (_Si alza e come se cominciasse a comprendere soltanto ora_) Tu dunque mi riprenderesti con te? MAURI (_trasecolato_) Accetti? FULVIA (_senza badare al Mauri, rivolgendosi al marito, o piuttosto, parlando quasi tra sè_) Ma come? — Ah già, il matrimonio c'è... Non ci sarebbe più bisogno di nulla! SILVIO È solo per lei! Apparenza... MAURI (_tra sè_) Ah che tradimento!... Lasciarsi riprendere da lui! FULVIA (_c. s._) Ha già sedici anni... Certo non può avere nessuna memoria di me. SILVIO Ne aveva poco più di tre... FULVIA (_subito, con scherno_) Quando io morii... — (_Poi, riprendendosi_) Ma gli altri? Potranno riconoscermi! SILVIO Nessuno, dove sto ora — quasi in campagna. Ma questo non importa! Cambieremo paese. MAURI (_risoluto_) Dunque, per me, Flora, è proprio finito? Non è possibile, bada! non è possibile! FULVIA (_scrollandosi, infastidita_) Ma che volete voi! MAURI (_terribile_) Come, che voglio! E come faccio io ora? Come resto senza di te? SILVIO (_facendoglisi innanzi_) Dovreste capire che non è più tempo di parlare così! MAURI (_c. s._) Io ho spezzato, distrutto la mia vita per lei! FULVIA (_interrompendosi, rivolta al marito_) Lascia, aspetta. Gli parlo io... MAURI (_abbracciandola, frenetico_) Non voglio sentir nulla! Sei mia! Non ti lascio! SILVIO (_avventandosi per strappargliela_) Ah, con la violenza? FULVIA (_divincolandosi_) Lasciatemi! MAURI (_c. s._) Non ti lascio! Non la lascio! FULVIA (_riuscendo a liberarsi e respingendolo_) Lasciatemi, vi dico! SILVIO Fuori! Fuori di qua! Via, fuori! MAURI (_rompendo in disperati singhiozzi_) Ma per pietà, almeno! FULVIA (_vibrante_) Che pietà volete, se io avevo già troncato ogni legame con voi? MAURI Ma io, no! io, no! FULVIA Questo vostro pianto, ora, è veramente di più! MAURI Una vita... Come se non fossi uno, io! — Mi stronchi... — dici che sono di più! Casca a sedere, come stroncato veramente, singhiozzando sempre. SILVIO Via, via, basta... FULVIA (_facendo un cenno a Silvio, e accostandosi al Mauri_) Un po' di carità, un po' di carità... Bisogna mandarlo via con le buone! TELA ATTO SECONDO SCENA Sala nella villa del dottor Silvio Gelli, presso uno dei villaggi intorno al lago di Como. La sala è vasta, chiara di tanto azzurro intorno, che dilaga tra il verde. Arredo di tinta tenue, molto signorile, ma non nuovo, perchè Fulvia Gelli possa riconoscerlo per quello stesso, che ella, tredici anni addietro, lasciò in un'altra casa. In fondo è una veranda, da cui si scende nel giardino. Due usci laterali a destra. La comune a sinistra. Sono passati dal primo atto circa quattro mesi. È agosto. Sono in iscena, al levarsi della tela, FULVIA, la governante BETTA e il COMMESSO DI NEGOZIO. Fulvia è in una ricca e gaja vestaglia estiva. Ha ancora i suoi capelli di fuoco, ma composti in una placida pettinatura. Non ha più il fosco pallore del primo atto: pare rasserenata. La vecchia governante Betta ha l'aria d'una mezza signora: sta con gli altri due presso a un tavolino ed esamina con l'occhialetto e palpa e tasta i molti scampoli di tela, bianchi e anche colorati, celesti, rosei, lilla, e i varii merletti, che il commesso di negozio ha tratti da una grande scatola di tela cerata con cinghie di cuojo, posata su una sedia accanto al tavolino. COMMESSO Già! Se la signora vuol proprio pigliarsi il fastidio... FULVIA Ma no! Non sarà mica un fastidio! COMMESSO Capisco — _pardon!_ — per una madre... Ma sarà un po' lungo, mi permetto di farle osservare, preparare tutt'intero un corredino di nascita... FULVIA Oh, mi servirà anche per passare il tempo! COMMESSO Capisco. Dicevo, perchè ne abbiamo tanti, già belli e pronti in bottega — una meraviglia, sa? — tutti assortiti — di tutto punto — delicatissimi... FULVIA (_a Betta che esamina una tela_) Che ve ne pare, di questa? BETTA Ah! — lenta... lenta... COMMESSO Pelle d'uovo, codesta! Sopraffina. — Si fanno di codesta, ora. Oppure di _nansouk_. BETTA (_giocando con le parole_) Sarà _nansù_ — io non so: ma è lenta. COMMESSO (_piccato_) No, scusi — ho detto che codesta è pelle d'uovo. BETTA Pelle d'uovo — ma è lenta. COMMESSO Ma no, per carità! Lieve, morbida — sfido! per le carni tènere d'un neonato! — ma resistentissima. Garantisco. FULVIA Sarà, sarà... Ma non è, a ogni modo, quella ch'io cercavo. C'era una volta un'altra tela — fina così, morbida — ma ben più solida! COMMESSO Dice forse _cambrì_, la signora? BETTA Eh, ma le antiche mussoline! FULVIA No no — non _cambrì_. COMMESSO Battista di lino? battista di cotone? FULVIA Non so. Voglio fargliela vedere. — Fatemi il piacere, Betta, salite su. Livia conserva ancora in quella vecchia cassapanca, sapete? BETTA Lo so. FULVIA Anche alcuni capi del suo corredino di nascita: li ho visti. BETTA Sissignora. Vado. (Si avvia). FULVIA No, meglio... aspettate! Non ditele nulla. Pregatela di scender qui un momento. BETTA Sissignora. Via per il secondo uscio a destra. FULVIA Vedrà, vedrà che morbidezza e che altra solidità! COMMESSO Eh, ma lavato questo _nansouk_, sa come infittisce, signora? E creda che, quanto a morbidezza, non c'è niente che regga al paragone di questa pelle d'uovo. FULVIA Intanto restiamo d'accordo, è vero, per queste battiste qui colorate. Se ci fosse un lilla più tenue... COMMESSO Sissignora, ne abbiamo in bottega. Ma anche questo mi pare che vada benissimo... FULVIA E quanto ai _valençiennes_ poi no, proprio no: questi non vanno. COMMESSO Eh, lo so. È proprio da piangere, creda! Le condizioni presenti del mercato... Entra dal secondo uscio a destra LIVIA. Ha poco più di sedici anni. Seria, rigida, s'intorbida ogni qualvolta si sforza di guardare in faccia. È vestita insolitamente di strettissimo lutto. Fulvia non s'accorge in prima ch'ella è entrata. LIVIA Mi hai fatto chiamare? FULVIA (_voltandosi appena_) Ah sì, Livia, vieni. (_Vedendola così vestita di nero, e restando_) Oh, e perchè così? Livia abbassa gli occhi e non risponde. FULVIA (_sovvenendosi subito_) Ah già... sì sì... scusami, sai! (_Cambiando idea, in conseguenza_) E allora niente, niente... LIVIA (_fredda_) Che volevi? FULVIA No, niente. Vai subito in chiesa? LIVIA Fra poco. Il parroco ha detto che non poteva prima delle undici. FULVIA Finirete tardi, allora. Tre messe... LIVIA Io volevo due. FULVIA (_subito in tono di rimprovero, ma dolce; come ferita_) No, Livia. Questo è un voler fare un dispiacere a papà. Non dico poi a me! LIVIA (_c. s._) Volevo che fossero due, appunto per non fare un dispiacere a te. (_Dirà questo come se, sotto l'apparenza d'una benevola attenzione, non fosse contenuta un'ingiuria per lei_). FULVIA (_con amarezza_) Ma che vuoi che faccia a me dispiacere, se non questo: che tu possa pensarlo? Sono state tre messe ogni anno; saranno tre anche quest'anno. Papà verrà con te? LIVIA Non so se voglia venire. FULVIA Verrà, verrà. Glielo dirò io di venire. (_Staccando_) Stavo qui a sceglier la tela per il corredino. LIVIA (_rigida, come per cosa che non la riguardi affatto_) Ah... FULVIA (_non potendo non notare il contegno di lei_) Vai, vai; non volevo mica il tuo ajuto. (_E vedendo che Livia se ne va senz'altro, soggiunge irritata, cangiando improvvisamente tono e umore_) Volevo che mi lasciassi, almeno per un po', la chiave di quella cassapanca, dov'è custodito quel resto del tuo corredino. LIVIA Sta bene. Te la manderò giù. Esce per il secondo uscio a destra. FULVIA (_al Commesso che nel frattempo avrà ripiegato e rimesso dentro la scatola tutti gli scampoli e i merletti_) Scusi... COMMESSO Oh, per carità, signora! FULVIA Per farla finita, restiamo così: prendo il _nansouk_. COMMESSO Ah, benissimo! Creda, è la scelta migliore, signora. FULVIA La quantità che le ho detto. COMMESSO Benissimo. Ho già preso l'appunto. Le manderò allora tutto in giornata. Riverisco, signora. FULVIA A rivederla. Il Commesso, reggendo la scatola, esce per la comune, mentre dal secondo uscio a destra rientra in iscena BETTA. FULVIA (_subito, vedendola, in tono derisorio_) La fate dire anche voi, dunque, una messa in suffragio dell'anima benedetta? BETTA (_da vecchia volpe_) Mi perdoni, signora. È uso, ormai. Ogni anno, in questo giorno... Mi perdoni... FULVIA (_sdegnata, severa_) Perchè volete che vi perdoni? BETTA Ma perchè forse quest'anno, ecco, si poteva non farne sapere nulla alla signora. FULVIA Sentite dunque che c'è qualche cosa di male in questo? BETTA No, signora. Si fa per la povera figliuola... FULVIA Ah, per lei! Non lo fate dunque per voi, nè per la padrona morta? BETTA Anche per me, sissignora, e per la povera padrona. È uso, le dico. FULVIA Tutti gli anni, dacchè è morta? BETTA Tutti gli anni, sissignora. Una la figlia, una io, una il signor dottore. FULVIA Anche Livia, _da allora_? BETTA Eh, la prima, lei! FULVIA Ah, questo no, vedete! Non vi fate bene il conto, cara Betta! Livia doveva esser piccina, e non poteva pensare allora a far dir messe. Tranne che non ci abbiate pensato voi, per suo conto, o il padre. BETTA (_rimanendo imbarazzata_) Già... veramente... Sarà stato il padre... FULVIA (_ridendo_) Come va, come va quest'affare? Voi dovreste ricordarvi, perchè siete stata sempre qua, voi! Vi è morta tra le braccia, la padrona! SILVIO GELLI, che è stato di là a parlare con Livia, entrando a questo punto per il primo uscio a destra, ode le ultime parole di Fulvia, e subito, costernatissimo, temendo ch'ella stia quasi per svelare il segreto, la richiama. SILVIO Fulvia! (_ma subito resta come interdetto, tradito dal primo impeto che gli ha fatto venire sulle labbra il vero nome di lei_). FULVIA (_subito voltandosi, rimediando con gioja maligna_) Chi chiami? Fulvia? Oh Dio benedetto! Capisco che oggi è l'anniversario; ma che tu debba pensarci fino al punto di chiamarmi col «suo» nome, via, mi sembra un po' troppo! SILVIO Scusami... sì, hai ragione... FULVIA Di niente, caro! È naturale. Nomi soprammessi, sfuggono! Mi chiamavo Flora, sapete, Betta? Brutto nome, veramente: di cagna. Mi ha chiamata Francesca, col mio secondo nome. (_Al marito_): Bisogna che te ne ricordi, caro! (_Lo guarda, lo vede costernato, come sospeso_) Che cos'è? Sto cercando di rimediare, con buona grazia, mi sembra, a una tua _gaffe_. SILVIO (_un po' irritato, facendole intendere che la sua costernazione non è per questo_) Sì, va bene... Ma... FULVIA (_comprendendo_) Niente, parlavamo delle tre messe d'oggi... (_A Betta_) Non v'ha dato nulla Livia per me? SILVIO (_subito_) Ecco, venivo per questo. FULVIA (_turbandosi, eccitandosi_) Non mi vuol dare la chiave della cassapanca? SILVIO (_a Betta_) Andate, andate, Betta. Credo che Livia abbia bisogno di voi. FULVIA Forse sta a piangere perchè gliel'ho chiesta? SILVIO (_a Betta che non sa allontanarsi_) Andate vi dico! Betta via per il secondo uscio a destra. FULVIA (_attaccando subito, con sdegno_) Senti, ah, questo no! SILVIO Lasciami dire! FULVIA Ho fatto trasportare io stessa in camera sua — vedendo che ne soffriva — gli antichi mobili della nostra camera da letto, e glien'ho consegnate le chiavi! SILVIO È vero, sì... FULVIA (_seguitando, con foga sempre più appassionata_) E n'avevo tanto bisogno, tanto! di rivedermeli attorno, quei mobili! SILVIO Ma devi pensare... FULVIA (_pronta, forte_) Penso a tutto! Ma questo no, Dio mio! Lo feci io, con le mie mani, quel corredino per lei! prima che nascesse! SILVIO Sì, sì! FULVIA Ricordi che non volevi? Me lo strappavi dalle mani! Ritrovarlo insieme con gli abiti miei di allora, fu per me... ah Dio, non lo so dire! Vi affondai la faccia; vi respirai la mia purezza di allora; la risentii viva in me, qua, nella gola — come un sapore — vi piansi dentro, e me ne lavai tutta l'anima... (_Staccando_) Bene: gliel'ho dati; me li sono strappati io stessa da me... SILVIO Ma capisci... FULVIA (_pronta c. s._) Perchè capisco! perchè capisco! Ma c'era qua il commesso. Volevo mostrargli la tela d'una di quelle camicine. Che cos'è, male? Non posso? SILVIO Ma non è questo! FULVIA E che cos'è? Perchè le ha indossate lei, non vuole che le faccia uguali, ora, per quest'altra? (_Torbida, minacciosa_) — Bada — ah, bada! Moglie — sta bene — rappresento qua un'altra — pensi di me ciò che vuole! Ma madre no, sai? bada! come madre mi deve rispettare! SILVIO Ma ti rispetta... FULVIA Non dico madre di lei! dico di quella che verrà! Badi! badi! Me la difendo, perchè non mi resta più altro qua per sentirmi ancora viva. SILVIO Non eccitarti così, per carità! FULVIA Non mi eccito, no. Quello che hai saputo fare per uccidermi! (_Pausa. Poi, piano, tentennando il capo_) Fissare anche il giorno della morte! SILVIO Ma no... Me lo chiese, una volta... FULVIA E tu, là! subito la data. E tre messe... Di' la verità: devi essere stato anche tu a ordinare a quella vecchia marmotta... SILVIO E dàlli! Te l'ho detto! A furia di ripeterlo — forse per acquistarsi una maggiore benevolenza da Livia — è facile che quell'imbecille ci creda lei stessa, alla fine! FULVIA D'avermi tenuta morta tra le braccia? (_ride_) Ah! ah! ah! ah! Fino al punto di farmi dire in suffragio una messa insieme con te! SILVIO Questo delle messe è un pensiero di Livia. Mi domandò una volta; non credetti di doverle dire di no. FULVIA Ma se l'hai accompagnata sempre in chiesa. SILVIO Per farle piacere. Sai che non soglio andarci per me. FULVIA Ci andrai anche oggi! SILVIO Non vado. FULVIA Voglio che tu vada! SILVIO Non vado, non vado! FULVIA Non privarmi di questo spettacolo, che almeno, via, è da ridere! Pòstumo — per me! — (_Staccando_) Gliel'ho già detto a Livia, che andrai. SILVIO E io le ho detto or ora che non vado. FULVIA Me lo fai dunque apposta? SILVIO Che cosa? FULVIA Per farmi odiare di più? SILVIO Deve comprenderlo anche lei, e lo comprende, difatti, che ora è un riguardo, questo... FULVIA (_pronta, scoppiando di nuovo a ridere, allegramente_) Che tu devi a me? Ah! ah! ah! ah! SILVIO Ti va di ridere... FULVIA Ma sì, caro! È meglio che me la prenda a ridere! (_ride ancora_) Perchè ti senti ridicolo tu stesso, vestito di nero, compunto, a messa, per me, che sono qua viva, (_ride di nuovo_) e faccio le corna! SILVIO Ma per nulla! Se non l'ho fatto per me... FULVIA (_staccando, con altra voce_) Scusa: _Ora_ me lo devi, il riguardo? SILVIO Come, _ora_? perchè? FULVIA Perchè si riduce tutto a mio danno! SILVIO (_forte, con convinzione_) Ma ho inteso di rispettarti sempre, io, qua! FULVIA (_pronta_) Me? Ah, no, caro! La tua impostura! SILVIO (_fermo e serio_) Io ti prego di credere alla mia sincerità. FULVIA Ci credo, ah, ci credo! E ciò che è orribile in te è questo, difatti: la sincerità della tua impostura: codesta... oh, via! non mi far parlare! SILVIO No, di', di', parla! FULVIA (_ancora una volta staccando, con altra voce_) Vuoi farmi del bene davvero? SILVIO (_stordito da questa che gli pare un'improvvisa diversione_) Come? Certo! FULVIA (_subito, fredda_) Non avere nessun riguardo per me! SILVIO Ma che dici? FULVIA Dico questo: trattami come una... una di quelle cagnacce di strada, che per caso ti si sia messa dietro, attaccata alle calcagna. SILVIO Ah sì! Bello, così! FULVIA (_c. s. quasi che parlasse d'un'altra_) Così, così. Non potendo più levartela dai piedi, per forza, rassegnato, hai dovuto portartela in casa. Se lei potesse credere questo, forse, vedendomi trattata così, disprezzata, avvilita, e nello stesso tempo, me, umile, docile... SILVIO Ma non è possibile! FULVIA Ah, ora, grazie, lo so! Hai fatto il contrario! C'è un odore di santità, qui, che viene da quella morta... SILVIO (_alludendo alla figlia_) Non aveva avuto madre! Che la pensasse almeno come una santa, dovendo farle un inganno, mi parve che questo fosse il più pietoso, non solo per lei, ma anche per te! FULVIA (_con impeto, subito frenato_) Non dire per me! non dire per me! Non l'hai fatto per me, scusa! Per te l'hai fatto, per quietarti in qualche modo la coscienza, che ti rimordeva. E non l'hai quietata! Non si quieta mica, con le imposture, la coscienza. SILVIO T'ho pregata di non usare più codesta parola! FULVIA Scusa, mi hai fatto morire, e poi mi hai santificata! e ti sei santificato, e hai santificato tutto qua! (_Staccando e cambiando tono ancora una volta_) Posso ammettere che la mia morte poteva essere, lì per lì, una «necessaria» menzogna. Ma se lei era così piccina! Le si era schiusa, la vita, con te solo accanto! Ti avrà domandato... così, della madre, da grandicella, è vero? Dovendo fingere, scusa, non potevi, anche senza dirglielo, farle intendere che non eri stato lieto nel tuo matrimonio? SILVIO Già, sì! A giudicarne adesso! FULVIA T'avrebbe amato di più; non avrebbe rimpianto nulla! SILVIO Ma dovevo immaginare che potesse succeder questo! Scusa, è strano! Ne parli, come se tu ne fossi gelosa... FULVIA Ah, sì, nel cuore di mia figlia! SILVIO Ma pensa che sei in fondo tu stessa! FULVIA Non è vero! non è vero! Io stessa? L'ho toccato! L'ho sentito! Sono morta! morta veramente! Le sto davanti, e sono morta! Non sono io, questa qua, viva; è un'altra, sua madre... di là, morta! Vorrei prenderla per le braccia (_allude a Livia_) scuoterla, guardarla fissa negli occhi e dirle: No! no! Credi a me, cara: perchè è morta... Non possono più far male, i morti, e perciò, dopo molto tempo, si pensa di essi solo il bene. _Anche la morte, cara, può essere una menzogna!_ (_Staccando, vibrante, con un'espressione quasi da folle_) Sai quante volte mi viene questa tentazione? SILVIO Per carità, Fulvia! FULVIA Non temere, chè ci penso, io più di te! (_Pausa_) Sfido! con te tutto dedito per tanti anni alla venerazione di quell'anima santa, doveva sembrarle per forza un tradimento, così, all'improvviso, da un giorno all'altro. (_Pausa_) Prima, sì — ci avrà pensato... così, una volta l'anno. (_Staccando_) Ma non è vero! non è vero! Si dimentica tutto! ci si adatta a tutto! È un'altra cosa ora! È quella sua, sì, vera gelosia, per conto della morta, ora. (_Pausa_) Doveva nascerle per forza, appena entrata io qua. Prima, era lei come lei. Appena entrata io, a prender posto accanto a te, lei s'è fatta la rappresentante di _quell'altra_. Naturale. Colei che ne tiene il posto. Ha voluto tutto ciò che le apparteneva: i mobili, tutto. Ho dovuto darglieli io stessa. M'è parso giusto. Tanto questa menzogna s'è fatta realtà qua, per tutti: l'unica, l'unica, in cui viva tua figlia! Dico _tua_, vedi? Non la sento, non la sento più realmente come mia! Non la sento! E non ti pare una cosa disumana. Bisogna ucciderla, ucciderla, questa menzogna, perchè io sono viva, viva, viva! SILVIO Per carità, per carità, Fulvia! Hai riconosciuto tu stessa la necessità di tacere — _anche per te!_ FULVIA Proprio per me? Tu vuoi tacere per non offendere _sua madre_, ecco perchè! SILVIO Ma se sei tu! FULVIA Non è vero! Io per lei sono — _questa_ — _e non posso essere sua madre!_ Sono arrivata al punto di crederci io stessa! Mi pare, mi pare veramente _figlia di quell'altra_. È spaventoso! Fin dal primo momento che la vidi e dovetti frenare ogni impeto che mi lanciava ad abbracciarla, a rifarmela mia sul mio petto! Le parole riguardose che fui costretta a dirle, che lei quasi m'impose col suo contegno, sono rimaste — irremovibili — non solo, ma così, proprio — realtà — realtà — anche per me. La guardo, con quelle spallucce lì, con quell'aria, e non credo più io stessa, proprio non sento più, che glieli abbia fatti io, quegli occhi, quella bocca; come se veramente ci fosse stata qui un'altra, da cui lei è nata — che io non so! — E il bello è poi, che non lo sa neanche lei! — L'ombra, divenuta realtà! E che realtà! Ha ucciso in me, veramente, il mio istinto materno per lei! Ora più che mai, che lo risento in me vivo per un'altra. — Via, via, via. — Non voglio più pensarci. — Si stia con la sua morta. E mi lasci qua — viva e in pace — per chi verrà. SILVIO Non dirlo! Sei stata qua con lei — son quattro mesi ormai... FULVIA A sorriderle, su questa graticola a fuoco lento... — Dio mio, basta ti dico. Non ne parliamo più. (_Va a distendersi su una sedia a sdrajo_) — Discorsi che si fanno... Poi non ci si pensa più. (_Pausa tenuta_) — Questa notte mi sono svegliata. Mi son messa a pensare, calmissima. Sì, questo dolore c'è, questa cosa orribile nella mia vita. Ma pure... — eh, si dorme! E se mi sveglio, posso mettermi a guardarmi le mani al lume del lampadino rosa... (_Silvio, tentato, a questo punto le si fa presso, e la contempla lì distesa_) — Che?... — Niente... così... le mani... il letto... i mobili nuovi della camera... — La vita è uguale; e ha tante cose a cui posso pensare, oltre questo mio dolore... (_Scotendosi un po'_) — Bisogna dire che non è vero che quando uno ha un dolore, non pensa più ad altro. Pensa a tante altre cose. Io pensavo questa notte... — indovina? _Ah come vorrei essere, come vorrei essere allegra!_ E questo è segno, sai? che non sono una canaglia. SILVIO (_che le si è fatto sempre più accosto e ha seguitato a contemplarla_) Per carità, che dici! (_E fa per prenderle una mano_). FULVIA (_ritraendo la mano_) Va' là, che ti piaccio ora, perchè ho questi capelli così! SILVIO No, Fulvia... Ti stanno bene, sì... FULVIA Ti eccitano! SILVIO Per carità, non dirlo... FULVIA (_sdegnata, nel vederlo così presso di lei per le sue grazie ambigue, involontarie_) Ma io non voglio mica essere allegra così! Sopravviene a questo punto BETTA, dalla comune in grande esultanza. BETTA (_annunciando_) Signor dottore, signor dottore! SILVIO (_levandosi, urtato d'essere stato sorpreso in quel momento d'intimità_) — Che cos'è? BETTA La zia Ernestina! È arrivata la zia Ernestina! SILVIO (_subito, costernatissimo_) Come! qua? FULVIA (_con lieta meraviglia_) O senti! — La zia Ernestina! È ancora viva? SILVIO (_per richiamarla alla sua finzione di seconda moglie_) Francesca! (_E subito volgendosi a Betta e avviandosi con lei verso la comune_) Dov'è? Com'è arrivata? FULVIA (_tra sè, mentre il marito s'avvia con Betta_) Ah già! Io non la conosco! BETTA (_rispondendo a Silvio_) In carrozza... Sta a pagare il vetturino... SILVIO Andate subito! Non la fate entrar qui! Conducetela su da Livia! BETTA Vado, sissignore! Ah, come sarà contenta la signorina! Via di furia per la comune. SILVIO Non ci mancava che lei oggi! FULVIA Ma come, scusa, la mandi da Livia? — È mia zia! Saprà tutto! SILVIO Tutto, sì; ma sa anche come deve comportarsi con Livia. FULVIA Ah, anche lei? SILVIO Sai bene com'è... FULVIA Me l'immagino! Indignata, offesa nei suoi pudori — per scroccarti ancora del danaro — morta, sepolta... SILVIO Ma come si fa adesso? — Se ti rivede, si tradirà! — Bisogna mandarla via subito! — Me l'ero levata dai piedi — e rieccola daccapo! Si sentono dietro la comune le voci di Betta e della ZIA ERNESTINA. Poco dopo, questa si precipiterà in iscena incontro a Silvio, con le braccia levate in atto tragico. È una magra vecchina invelenita più dagli antichi disinganni che dalla miseria, stupida come una gallina, e sempre mezzo stordita, come se fosse sorda. Ma non è sorda. E quella storditaggine può essere anche finta. Ha i capelli tinti d'una rossa orribile manteca. Si presenta parata di strettissimo lutto. BETTA (_dall'interno_) Ma no, scusi! non di qua! non di qua! ZIA ERNESTINA (_dall'interno_) Lasciatemi! (_Entra c. s. con Betta_) Morta? morta dunque davvero, la mia povera nipote? SILVIO (_su le furie, temendo che Livia la senta di su_) Si stia zitta, perdio! — Le proibisco di parlare! (_A Betta_) Andate, andate su, voi, e impedite a Livia almeno di scendere! Betta corre via per il secondo uscio a destra. ZIA ERNESTINA Dev'esser morta davvero, se hai potuto riprender moglie! Ti scrissi; non m'hai risposto... SILVIO (_con rabbia, per farla tacere, indicandole Fulvia_) Eccola lì! — Ma si stia zitta! ZIA ERNESTINA (_stordita sul serio, accorgendosi della presenza di Fulvia, ma non riconoscendola e credendola veramente la seconda moglie di Silvio_) Oh — scusi: non l'avevo vista, signora. Sono la zia dell'altra moglie... Dal secondo uscio a destra irrompe improvvisamente LIVIA con le braccia tese verso la zia Ernestina. LIVIA Zia! zia! zia! ZIA ERNESTINA Livia! (_Si abbracciano strette strette, a lungo_). LIVIA Zia mia! zia mia! ZIA ERNESTINA (_piangendo_) Orfanella mia! povera orfanella mia! SILVIO (_infuriato, cercando di strapparla dall'abbraccio_) Via, basta! Non mi faccia qua ora codeste scene! ZIA ERNESTINA Sì... sì... hai ragione — per riguardo qua... SILVIO Per riguardo a niente! Ma voglio che si ricordi che sua nipote è morta da tredici anni! (_Pigerà sulle parole, per farle intendere che davanti a Livia bisogna ch'ella seguiti a sostenere l'antica finzione_). ZIA ERNESTINA (_non comprendendo affatto_) Ah già... sì... — ma per me... ora... SILVIO (_subito, cercando di rimediare_) Per lei il dolore sarà ancora come recente; ma si ricordi pure, che tanto per Livia quanto per lei la disgrazia non è di jeri, nè di quattro mesi fa! ZIA ERNESTINA (_c. s. seguitando a non riconoscere Fulvia_) Ah, già — sì! Son più di quattro mesi... Chiedo scusa, signora... LIVIA (_fiera, fredda, provocante, supponendo che il padre abbia mostrato tanta durezza per un riguardo verso la seconda moglie_) Andiamo su! vieni con me, zia Ernestina! ZIA ERNESTINA (_subito_) Sì, figliuola mia... orfanella mia, sì... sì... Sei anche tu vestita di nero... E tutt'e due, abbracciate, se ne escono per il secondo uscio a destra. FULVIA (_con un'impressione quasi di gelo_) Non mi ha riconosciuta... SILVIO È colpa mia, è colpa mia. Mi scrisse veramente, chiedendomi... FULVIA Ma hai visto? Non m'ha riconosciuta... SILVIO Deve credere così... FULVIA Ch'io sia morta davvero? SILVIO Supponendomi riammogliato! — Dovevo risponderle, avvertirla, spiegarle. Ma potevo immaginare che dovesse venire, dopo che la cacciai via malamente, tant'anni fa, per il fastidio che mi dava? FULVIA È ritornata per lei, (_allude su a Livia_) sicura di trovare ora in lei un'alleata che la protegga, contro te e contro me. SILVIO Ah no: s'inganna! FULVIA Sei certo che non le abbia scritto lei? SILVIO Ma no! Non hai visto che è arrivata all'improvviso? FULVIA (_quasi tra sè_) La zia Ernestina... Ma guarda! — E non m'ha riconosciuta... SILVIO (_accennando ad avviarsi per il secondo uscio a destra_) Se ne ritornerà ora stesso donde è venuta! FULVIA (_per richiamarlo_) No! Che fai? SILVIO La mando via! FULVIA (_alludendo a Livia_) Ma non hai visto come s'è piantata lì, provocante, credendo tu la bistrattassi per me? SILVIO Ma glielo dirò io — che non la voglio io, io! FULVIA Crederà sempre che sia per causa mia! Non vedi che, per forza, tutto qua si ritorce contro di me? SILVIO Che vuoi che faccia allora? FULVIA Come se l'è stretta fra le braccia: «_Zia mia, zia mia!_» — E quella stupida là: «_Orfanella mia!_» — Se non fosse da piangere... SILVIO Insomma, io non posso star tranquillo, con lei qua! Bisogna che vada via immediatamente! FULVIA Fammi il piacere: accompagna Livia in chiesa, e mandamela giù. Mi farò riconoscere. SILVIO E la indurrai a ripartirsene subito? FULVIA Vedremo, vedremo. SILVIO No, no — non la voglio — non la voglio per casa. Deve ripartirsene! FULVIA E se potesse giovare? SILVIO Ma che vuoi che giovi quella lì! Silvio esce per il secondo uscio a destra. FULVIA (_sola — dopo una pausa — assorta_) Zia Ernestina... — la credevo morta... Rientra BETTA dalla comune, reggendo a fatica due grosse valige della zia Ernestina, una di qua, una di là a contrappeso. BETTA Pèsano... pèsano... FULVIA Sono della zia... (_si corregge subito_) della signorina Galiffi? BETTA E ha portato anche un baule! FULVIA Ah — è dunque venuta per restare? BETTA Almeno dalla roba che porta... — Su, in foresteria, è vero? FULVIA Sì, sì — per ora... Betta via, con le valige per il secondo uscio a destra. Poco dopo, da quest'uscio entra, tutta imbarazzata e titubante come una vecchia pollastra scappata dalla stia, la ZIA ERNESTINA. ZIA ERNESTINA Permesso? FULVIA (_recandosi a chiuder l'uscio da cui zia Ernestina è entrata; decisa a pigliarsela un po' a godere prima di svelarsi_) Venga, venga — s'accomodi. Livia è già andata? Doveva essere in ritardo... ZIA ERNESTINA (_su le spine_) Sì... — col padre. FULVIA S'accomodi, s'accomodi. ZIA ERNESTINA Grazie. — In chiesa... FULVIA Come dice? ZIA ERNESTINA Dico che è andata in chiesa, col padre. FULVIA Sì sì, per le messe. Forse anche lei avrebbe desiderato andarci — perchè saprà che oggi — (_piano, pigiando, con uno sguardo d'intelligenza_) — per la figlia — è l'anniversario. ZIA ERNESTINA Ah — la signora sa, dunque? FULVIA Come vuole che non sappia, scusi! ZIA ERNESTINA Ma io non so nulla, invece! — Dev'esser morta da poco, è vero? la mia povera nipote. FULVIA (_la guarda, forzandosi a dissimulare lo stupore che la agghiaccia; poi dice_) Eh, non da poco veramente... ZIA ERNESTINA Manco di qua da sei anni circa. Ero l'unica parente. Mi si poteva avvertire... — Ma com'è morta? com'è morta? la signora lo sa? FULVIA (_tentenna il capo, poi dice_) Sì, lo so. ZIA ERNESTINA Male? FULVIA Eh, male, sì! (_Pausa — poi_) L'hanno uccisa. ZIA ERNESTINA (_con un balzo_) Uccisa? Come! Chi l'ha uccisa? FULVIA Zitta, per carità! (_Con aria misteriosa_) Non se n'è saputo nulla. ZIA ERNESTINA Uccisa!.. Ma come? dove? Neanche i giornali ne parlarono! FULVIA Ma... sa!... di certi delitti non si parla sui giornali. (_Piano, guardandola di nuovo con aria misteriosa, come per rassicurarla, in confidenza_) Stia tranquilla! ZIA ERNESTINA (_intontita_) Io? (_Poi, più che mai smarrita_) E come l'ha saputo lei? da suo marito? FULVIA (_fa cenno di sì, con truce cipiglio, poi, di nuovo, piano, in confidenza_) Mi ha confidato tutto. ZIA ERNESTINA (_trasecolata_) Lui? Oh Dio! Che cosa? FULVIA (_c. s._) Non tema! non tema! Io so tacere... (_E le posa, come a giurarlo, una mano sulle mani_). ZIA ERNESTINA (_c. s._) Le giuro che io non so nulla, signora! Oh Dio! Ma che c'entri dunque lui? Badi che io sono la zia _di lei_! FULVIA Ma che zia! Mi faccia il piacere! Non seguiti a far la parte con me! Le dico che so tutto, scusi! ZIA ERNESTINA Io? La parte? Che parte? (_c. s._) FULVIA Ma se lei è la complice! ZIA ERNESTINA Io? La complice? FULVIA Lei! Lei! ZIA ERNESTINA Che dice? Io? Complice di che? FULVIA Come, di che? Dell'uccisione! ZIA ERNESTINA Io? FULVIA (_non resistendo più alla vista del trasecolato terrore della vecchia, scoppia a ridere come una matta_) Ah! ah! ah! ah! (_E subito facendolesi vicinissima, scostandosi i capelli dalle tempie e dalla fronte e tenendosi il volto come per presentarglielo_) Ma dici davvero, zia Ernestina? Ma guardami bene! Non mi riconosci? ZIA ERNESTINA (_come basita, tirandosi indietro col busto e parando le mani_) Che?... Che?... FULVIA Sono io! Non mi riconosci davvero? ZIA ERNESTINA Fulvia? Tu? FULVIA Zitta! Ora sono Francesca! ZIA ERNESTINA Ma come? FULVIA Eh! come... Te l'ho detto come! ZIA ERNESTINA Oh Dio... Mi pare d'impazzire!.. Tu?.. Qua di nuovo? FULVIA (_nega vivacemente col dito_) Francesca, Francesca. ZIA ERNESTINA Come!.. Fulvia? FULVIA (_c. s. e poi sillabando_) Fran-ce-sca. ZIA ERNESTINA Impazzisco davvero. FULVIA (_subito, abbracciandola_) Povera zia Ernestina, no! Ma è proprio vero, sai, proprio vero: la complice! Me l'ha detto lui! ZIA ERNESTINA No... no... Ti giuro che io... FULVIA Scusa, e per chi allora è andata a pregare Livia in chiesa? ZIA ERNESTINA (_cominciando a smarrirsi di nuovo_) Già... io... FULVIA Vedi? Ti sei anche vestita di nero! Più complice di così? ZIA ERNESTINA Ma perchè ho creduto davvero che ora tu... FULVIA E sì: difatti: eccomi qua: La signora Francesca Gelli! ZIA ERNESTINA Lasciati vedere... Sai, che non ci vedo quasi più! FULVIA Effetto della tintura, zia! (_Accenna ai capelli tinti della vecchia_) Deleteria, deleteria per la vista... Guardatene! Anch'io, vedi? (_mostra i suoi_) E me l'hanno detto. Si può anche accecare. ZIA ERNESTINA Ma no, è l'età! Ecco, anche per codesti capelli non ti riconoscevo... FULVIA Scusa, scusa, e la voce? ZIA ERNESTINA Dopo tredici anni, che vuoi! E sono anche un po' sorda. Poi con la certezza che... (non sia mai, figliuola mia)! Ma dimmi, dimmi com'è stato? Vi siete riconciliati, eh? e avete dovuto fare per la figlia quest'altra finzione... FULVIA Sì, almeno credevo... ZIA ERNESTINA Ah, s'è saputo? Ma Livia, no, Livia crede... FULVIA Lo credono tutti, per questo! ZIA ERNESTINA E allora? FULVIA Mah, il guajo è che ho finito per crederlo anch'io, come la Betta! ZIA ERNESTINA Che? Oh Dio, non ricominciare! FULVIA No, no. Mi sono abituata ormai. Devi crederlo anche tu, zia; ma proprio crederlo come... che so! come puoi credere a te stessa. ZIA ERNESTINA Ah, si sa! Dici per Livia? per la gente? FULVIA No, per te, per te. Dico proprio per te! Per te, come zia di lei! ZIA ERNESTINA Di Livia? FULVIA No! _Di quella che fu tua nipote!_ (_Con stranezza_) Bella nipote, te ne puoi vantare! (_Pausa_) Lo facesti per danaro; ma t'assicuro io, che avresti potuto provarne onta per davvero! ZIA ERNESTINA (_sbalordita_) Come? FULVIA Pessima! Pessima! Una vitaccia! (_Staccando, nel veder la faccia della zia Ernestina_) Vorresti forse difenderla dopo che..? ZIA ERNESTINA (_c. s._) Ma scusa, non parli di te? FULVIA No, cara zia! Ti dico che io sono la signora Francesca Gelli, e non puoi sapere con quale e quanta voluttà rovescio tutte le infamie che so addosso a codesta tua nipote, che qua, lo vedi? innalzata alle glorie del paradiso, si va a pregare in chiesa — tutti — anche la serva! (_Con scatto di gioia quasi frenetica_) Sono madre di nuovo io, sai? ZIA ERNESTINA Madre? FULVIA Madre, madre — come prima! — quella di prima! quella che lei non conobbe! (_allude alla figlia_). Ah, zia Ernestina — credi, credi — è una vera rinascita per me! Capisci che mi risento madre come allora — in attesa — prima ch'ella mi nascesse? Così, così! E mi sento io, qua, io sola — per quello che sono ora, viva come prima — _la vera santa_ — io, per tutto il martirio che ho sofferto, prima e dopo, — questi quattro mesi qua, con lei... — ah, che cosa, se sapessi! — Dio, Dio, che cosa!... che cosa! ZIA ERNESTINA Me l'immagino, me l'immagino... Ma te l'ha dato senza saperlo, quella poverina... FULVIA Senza saperlo, ma con che ferocia! Fredda, sai? oh, mansa! Il vero livore! (_All'improvviso, si turba profondamente; si alza, stringendosi forte una mano sugli occhi_) Oh Dio, basta che non mi fissi! ZIA ERNESTINA (_sorpresa da questo moto improvviso_) Che cosa? FULVIA Niente. Una cosa che ho detto poco fa a suo padre... Bisogna che me la scacci dalla mente! (_Forzandosi a rientrare nella coscienza abituale_) Credi che ho fatto di tutto, zia, non per farmi amare... non per me, ma perchè lei... non so, sentisse — ecco — sentisse che io... — non te lo so dire! — Anche i suoi dispetti, certe volte, mi son parsi carini... mi han fatto sorridere entro di me. Ma se n'è accorta. E a vederla cangiare in viso, allora! Un martirio, sì. L'ho potuto sopportare, perchè sono così di nuovo, credi, com'ero per lei, a diciott'anni. (_Staccando come per un'idea che le sorge improvvisa_) A proposito! Mi dovresti fare un favore, zia Ernestina. Son sicura che lei si presterà. ZIA ERNESTINA Un favore? Io? FULVIA Sì. Dovresti indurla, proprio per farmi un dispetto; _dicendoglielo_, a comparirmi davanti, uno di questi giorni, all'improvviso, con quel mio abito di velo a roselline, ch'ella conserva. ZIA ERNESTINA Ma no! Che ti viene in mente? FULVIA Sì, sì, zia! Mi farebbe tanto piacere, rivedermi in lei, per un momento, com'ero all'età sua! ZIA ERNESTINA Ma che idea, no! FULVIA È vero che mi somiglia poco... ZIA ERNESTINA E come vuoi che lo faccia! Non lo farebbe mai! FULVIA Per non profanar quella veste davanti ai miei occhi? Forse hai ragione. ZIA ERNESTINA E poi, io — ma figurati! — Sai che mi troverò in un bel impiccio, io, ora? FULVIA Oh! Non arrischiarti a lasciare trapelar nulla! Silvio è costernatissimo... Non m'ha raccomandato altro. Vuole che te ne vada via subito, anzi. ZIA ERNESTINA Ah, come? così subito? FULVIA Povera zia Ernestina, venuta per angariare l'intrusa, d'accordo con la nipotina! ZIA ERNESTINA Ma no! Che dici? FULVIA Non t'ha chiamato lei? di' la verità! ZIA ERNESTINA No, ti giuro! Ero venuta soltanto per sapere... FULVIA Scusa, e il baule? (_ride_). ZIA ERNESTINA (_presa al laccio_) Già... l'ho portato... Ma non potevo immaginare... FULVIA Non fa nulla; non fa nulla. E per me, anzi, ora... Ma bisognerebbe che tu sapessi fingere — ma proprio bene — senza mai tradirti... ZIA ERNESTINA Dio mio... sarà difficile... FULVIA L'hai fatto per tanti anni! ZIA ERNESTINA Già, ma non con te davanti! FULVIA Ecco: tu pensa sempre a ciò che fu tua nipote! ZIA ERNESTINA No! Dio liberi! FULVIA Perchè? ZIA ERNESTINA Non ci ho mai pensato, trattando con Livia! FULVIA Appunto. Pensaci ora! ZIA ERNESTINA (_con orrore_) Trattando con te? Oh! FULVIA Non essere sciocca! Io non sono tua nipote! Ma vedrai che Livia mi tratta come _quella_. Glielo leggo negli occhi, sospetta di me, chi sa che orrori! ZIA ERNESTINA Ma no, un'innocente! FULVIA L'odio le fa da diavolo! Quello dell'albero, sai? ZIA ERNESTINA Che albero? FULVIA La storia sacra, zia Ernestina! L'albero della conoscenza... il serpente... ZIA ERNESTINA (_senza comprendere_) Ah... già... (_Poi_) E tuo marito? Tuo marito? FULVIA Che cosa? ZIA ERNESTINA Com'è ora con te? FULVIA (_si turba, la guarda, esita a rispondere: poi, accigliandosi_) Mi stomaca. ZIA ERNESTINA Ma sai che è divenuto...? FULVIA Lo so, lo so, che cosa è divenuto! Me, però, capisci? _mi vuole come quella_ ancora...! A quattr'occhi, capisci? vorrebbe che _quella santa_, rediviva e istruita, tutta la sua probità... (_fa un gesto ambiguo, con le mani_).. ZIA ERNESTINA (_pudibonda, ma con viva curiosità_) Non capisco... FULVIA (_con nausea_) Ma sì, gliela sconquassasse; per poi la mattina dopo, raggiustarsela addosso, tutta ancora un po' rabbuffata, davanti alla figlia! È ancora quello di prima, sai? Ma allora, almeno, non aveva cinquant'anni e non faceva il probo per professione, e io non capivo, come capisco adesso! Scusami, scusami, zia Ernestina: non devi capire neanche tu! ZIA ERNESTINA (_scottata nel suo pudore, torna, come se nulla fosse, al primo discorso_) Ecco: io ti dovrei guardare, dovrei averti davanti il meno possibile... FULVIA Dici, per non tradirti? ZIA ERNESTINA Già... Ma scusa, non si potrebbe, a poco a poco... FULVIA No! Impossibile! Non te lo sto dicendo? E poi, questi tredici anni ci sono stati davvero! E questo suo livore d'ora... Sarebbe terribile per lei!.. Guai! Ne sono così convinta che non ci penso neanche più... e (_Subito staccando, imperiosamente e piano_) Zitta! Rientra dalla comune BETTA. BETTA Signora, c'è il professore: il signor Cesarino. FULVIA Oh Dio, Livia oggi non prende certo la lezione! Bisognava farglielo sapere, senza farlo venire fin qua... BETTA Già. Ma la signora sa che vengono anche per... (_fa cenno con la mano: «per mangiare»_). FULVIA Ah, c'è anche la signora Barberina? BETTA Sissignora. Stanno tutt'e due a scuotersi di là tutta la polvere d'addosso, sudatissimi. FULVIA Fateli entrare, poverini. Betta via. FULVIA (_piano, accostandosi_) Attenta ora, mi raccomando, zia Ernestina! Entrano il SIGNOR CESARINO e la SIGNORA BARBERINA. Due tipi buffi: quello, fino fino, calvo, ma pure con molti capelli, tutt'intorno al cranio e sugli orecchi, candidissimi e rigonfi. È paonazzo dal gran sole che ha preso, venendo a piedi. Perduto in un abbondantissimo abito nuovo di seta cruda, evidentemente tagliato e cucito dalla saggia moglie, ha ripiegato da piedi non solo i calzoni, ma anche sui polsi, più d'una volta, le maniche, anche per il caldo, che gli fa tenere un gran fazzoletto, bagnato di sudore, in mano. La signora Barberina, atticciata e balorda, sempre in apprensione per la svolazzante vivacità del marito, veste un abito chiaro, d'una chiarezza che strilla sulla sordità pesante della sua bruna carnagione pacifica, e ha un vistoso cappellino di paglia a sghimbescio, che le sta proprio un amore. SIGNORA BARBERINA (_dalla comune_) Permesso? FULVIA Avanti, avanti, signora Barberina. SIGNORA BARBERINA Riverisco, signora. SIGNOR CESARINO (_inchinandosi, sbracciandosi_) Signora gentilissima... FULVIA (_facendo le presentazioni_) — Mi permettano. Il signor Cesarino Rota, maestro di musica di Livia, e la signora Barberina, sua moglie. — La signorina Galiffi — prozia di Livia. (_Inchini da una parte e dall'altra_) Si accomodino, prego. SIGNOR CESARINO Che caldo! che caldo, signora mia... Qua è una delizia! — La polvere! SIGNORA BARBERINA (_notando con orrore e facendo notare al marito, che è entrato in sala con le maniche e coi calzoni ancora rimboccati_) Ma Cesarino! SIGNOR CESARINO (_non comprendendo_) Che cosa? SIGNORA BARBERINA Dio mio, ma si entra così? SIGNOR CESARINO (_subito, riparando, a cominciar dai calzoni_) Ah, già... Mi perdonino! (_Se non che, svolgendo la rimboccatura del primo calzone, un mucchietto di polvere cade sul tappeto_) Oh, guarda quanta terra... SIGNORA BARBERINA Ma va' di là, santo Dio! SIGNOR CESARINO (_subito, alzandosi e dirigendosi verso la comune_) Sì, ecco... Mi permettano, mi permettano... (_Esce, per rientrare poco dopo_). SIGNORA BARBERINA Scusi tanto, signora! FULVIA Ma no, non è niente. SIGNORA BARBERINA È così mai distratto! Non se ne possono fare un'idea! FULVIA Eh, artista! SIGNORA BARBERINA Per lo stradone, poi, veramente... FULVIA Ecco, mi dispiace tanto, che... SIGNOR CESARINO (_rientrando_) Ah, eccomi qua... (_E subito ripigliando istintivamente a rimboccarsi le maniche_) E la mia allieva? la mia allieva? FULVIA Dicevo appunto questo, signor Cesarino. Mi dispiace che Livia... SIGNOR CESARINO Non sta forse bene? FULVIA No. È andata in chiesa col padre... SIGNOR CESARINO (_preoccupatissimo, per la sua qualità d'organista_) E che cos'è oggi? Che funzioni? — Dio mio, Barberina! FULVIA Ma no, stia tranquillo! È una funzione privata. Oggi è — (_rivolgendosi alla zia Ernestina_) dica lei, signorina: il dodicesimo o il tredicesimo? ZIA ERNESTINA (_sbalordita, cadendo dalle nuvole_) Io? Che cosa? Non saprei! FULVIA Dico l'anniversario... SIGNOR CESARINO (_subito, sovvenendosi_) Ah, della morte? SIGNORA BARBERINA (_c. s. compuntissima_) Della sua mamma, già! FULVIA (_indicando, con compunzione anche lei, la zia Ernestina_) Nipote appunto della signorina... ZIA ERNESTINA (_vivamente, come per ripigliarsi dallo sbalordimento_) Già... già... sì — oggi, — l'anniversario. FULVIA Il tredicesimo — è vero? ZIA ERNESTINA Sì sì — il tredicesimo, il tredicesimo... SIGNOR CESARINO Oh guarda... guarda... SIGNORA BARBERINA Noi non sapevamo... Domandiamo scusa, allora. Non saremmo venuti... FULVIA Già: non s'è pensato ad avvertirli. SIGNORA BARBERINA Quanto mi dispiace! (_Accennando a levarsi_) Ma allora... FULVIA (_subito_) No, no — possono trattenersi. (_Alla zia Ernestina_) Non credo, signorina, è vero, che Livia... — Oh, per sonare, certo oggi non sonerà... SIGNOR CESARINO Ma via! ma dopo tredici anni! SIGNORA BARBERINA (_strillando_) Cesarino! — ma non senti che c'è qua...? (_indica la zia Ernestina, che non sa più che viso fare_). SIGNOR CESARINO Ah, _pardon, pardon!_ SIGNORA BARBERINA Veste ancora di nero, non vedi? FULVIA Sì, perchè la amava proprio come una figliuola. SIGNOR CESARINO Eh, si vede... si vede... È venuta ora a trovare qua la sua nipotina, eh? ZIA ERNESTINA Già... sì... son venuta... SIGNOR CESARINO Proprio per questa triste ricorrenza? ZIA ERNESTINA (_non sapendo che rispondere_) Già... sì... SIGNORA BARBERINA Ah, ma dunque sarà meglio che noi... FULVIA No, ecco — volevo dir questo. Non credo che Livia potrà aver dispiacere che rimangano a tavola, come al solito, il suo professore e la signora. Tanto più che doveva pensar lei ad avvertirli di non venire. — Ma capiranno: c'è qua la zia... — Dica, dica lei, signorina! ZIA ERNESTINA (_c. s._) Che?... che debbo dire? FULVIA Nessuno meglio di lei è in grado d'interpretar l'animo della figliuola... ZIA ERNESTINA (_impappinandosi e riprendendosi a stento_) Già... ma... capirai... capirà... sono... sono ospite anch'io qua... di... di lei... FULVIA Ah, bene! E allora io, per conto mio, non permetterò che il professore e la signora se ne ritornino indietro, di mezzogiorno, con questo sole... SIGNOR CESARINO Già il tocco! già il tocco! FULVIA Ah sì? E allora a momenti saranno qua... SIGNOR CESARINO Di volo... con l'automobile... che bellezza! — Le assicuro, signora mia, che noi due, a ritornare a piedi, adesso, si morirebbe... FULVIA (_alzandosi_) No no. — Vadano, vadano a mettersi in comodità. — (_Si alzano tutti_) Possono andar di là al solito. (_Indica il primo uscio a destra_). SIGNORA BARBERINA Grazie... Mi leverò allora, con permesso, il cappello... SIGNOR CESARINO E io vorrei, con licenza della signora... Ecco, oggi dovevo anche accomodare il pianoforte... SIGNORA BARBERINA Ma no, Cesarino! Non hai inteso che oggi non si suona? SIGNOR CESARINO Accordare non è sonare! FULVIA La farà poi, se mai, signor Cesarino: dopo tavola... SIGNOR CESARINO Ah, bene bene... E allora, ci permettano... Andiamo a rinfrescarci un po'! SIGNORA BARBERINA Con permesso... (_S'inchina_). Escono per il primo uscio a destra, marito e moglie. ZIA ERNESTINA (_a precipizio, con aria da spiritata_) Ah, no no no no no! Me ne vado, me ne vado! — Non ci resisto! FULVIA (_sorridendo_) Eh, vedo anch'io, zia Ernestina... ZIA ERNESTINA Ma che! — Non ci resisto! Ora stesso me ne vado! Si ode a questo punto la voce di BETTA dalla comune. VOCE DI BETTA (_che annunzia_) Eccoli di ritorno! ZIA ERNESTINA Vado su! vado su! Vado a prepararmi! Via! via! via! Esce di furia per il secondo uscio a destra. Quasi contemporaneamente entra dalla comune SILVIO GELLI. SILVIO (_con ansia, alludendo alla partenza di zia Ernestina_) Ebbene? FULVIA (_guarda verso la comune, poi domanda_) Livia? SILVIO È entrata di là. Sarà su. — Che hai fatto? FULVIA Se ne va; se ne va via da sè... SILVIO Oggi stesso? FULVIA Oggi... non so, domani... — Ha riconosciuto lei stessa l'impossibilità di rimanere. SILVIO Ah, bene! Ma non vorrei che oggi, a tavola... FULVIA C'è, per fortuna, il maestro con la signora. SILVIO Sono di là? (_indica il primo uscio a destra_). FULVIA Sì, vai vai. Fa' presto. A momenti saremo a tavola. Silvio, via per il primo uscio a destra. Poco dopo, dal secondo, entra LIVIA che si dirige risolutamente, con fosco cipiglio, verso Fulvia. LIVIA Hai detto tu a zia Ernestina d'andarsene? FULVIA (_addolorata di vedersela davanti così, le risponde con grande dolcezza_) No, cara. Non io... LIVIA E chi dunque la fa partire appena arrivata? FULVIA Non so, nessuno... — Lei stessa. LIVIA Lei stessa non può essere! FULVIA Eppure torno a dirti che è lei... LIVIA Ma se — arrivando questa mattina — mi disse ch'era venuta per rimanere qui a lungo con me! FULVIA Lo so anch'io. M'hanno detto che ha portato con sè anche un baule... LIVIA Dunque, vedi... FULVIA Io t'assicuro, Livia, che per conto mio non avrei avuto nulla in contrario. Dissi anzi a tuo padre, che avrei avuto piacere ch'ella rimanesse. LIVIA Ah, dunque è lui? (_Fiera, dura, guardandola negli occhi_) Perchè? FULVIA Non per me, credi, Livia. — Lo so; tu devi sospettare così. LIVIA Sospettare... È così chiaro, mi sembra! FULVIA No, scusa. Perchè allora ti dico, che potresti ricordare che già un'altra volta — _senza che ci fossi io_ — egli non la volle più in casa e la mandò via. Me l'ha detto lui — se è vero... LIVIA Allora, sì! È vero. — Ma il caso, _ora_, sarebbe diverso. FULVIA (_sempre con accorata e più intensa dolcezza_) Perchè ora ci sono io — tu dici. E l'ho detto anch'io, difatti, a tuo padre. Gli ho fatto notare appunto, che tu ne avresti incolpato me. LIVIA Non ostante questo, però — per incarico di lui — tu l'hai licenziata. FULVIA Ma non l'ho licenziata io! Nè altri! — Che vuoi che ti dica? Se ha deciso d'andarsene, così, da un momento all'altro, sarà perchè... non so, dopo aver parlato con me, qua, avrà concepito forse... avversione, antipatia. — È il mio destino, qua, per quanto io faccia di tutto... — E tu, se potessi essere un po' giusta verso di me, dovresti riconoscerlo. Credi, sono stata con lei affabilissima. Ma mi hanno detto che è stata sempre un po' bisbetica e fastidiosa... LIVIA Io le voglio bene! FULVIA Me l'immagino. E credi che l'ho trattata affabilmente anche per questo. Io non so... abbiamo financo riso insieme. Non so proprio di che cosa si sia potuta avere a male... (_Tentando di volgere in riso, affettuosamente, il discorso, appigliandosi a ciò che ha di comico la figura della zia Ernestina_) Ma forse... — sai perchè? — (_si china un po' verso lei sorridendo, per mostrarle il capo, e sollevando con una mano una ciocca de' suoi capelli, aggiunge_) Questi capelli... LIVIA Che vuoi dire? FULVIA È tinta anche lei, lo sai. Me li ha guardati con un viso così arcigno... Teme forse che la sua tintura debba sfigurare troppo accanto alla mia. Tu non puoi comprendere ancora certe debolezze... LIVIA (_dura, recisa_) Ah, certo! Meglio che non le comprenda! FULVIA (_avvertendo che lo sdegno di lei si riferisce solo ai suoi capelli tinti e non a quelli della vecchia_) Eppure... eppure io seguito a tingermeli per te, sai? LIVIA (_con nausea_) Per me? FULVIA Per te, sì. — E per consiglio di tuo padre. LIVIA Non capisco. FULVIA Non capisci, lo so. Ma immagina che io abbia _naturalmente_, sotto questa tintura, i capelli dello stesso colore dei tuoi — ma proprio tali e quali! LIVIA Ebbene? FULVIA Potresti pensare che il colore a codesti tuoi ti sia potuto venire da quelli di tua madre... LIVIA (_ponendosi ambo le mani sul capo, come a riparare i capelli di sua madre, e dice, scostandosi_) Sì, lo so! FULVIA Te l'ha detto tuo padre? Ed ecco perchè mi consiglia di seguitare a tingermi i miei. E io lo faccio: mentre non vorrei più, ti giuro. (_Con un desiderio angoscioso, improvviso che la intenerisce, al ricordo di se stessa giovine come è ora la figlia_) — Ti guardo codesti ricciolini teneri sulla nuca... Mi verrebbe voglia di prenderli con due dita e allungarteli pian piano... senza farti male... Livia ha un moto istintivo di ribrezzo. FULVIA (_lo nota, ma quasi per pietà di sè stessa dice con un sorriso indefinibile_) Tu provi il solletico solo a sentirtelo dire. LIVIA (_c. s. con uno scatto irrefrenabile_) No! FULVIA È ribrezzo delle mie dita? — Hai ragione. _Anch'io penso che così forse, quand'eri piccina te li carezzava tua madre..._ Livia si nasconde la faccia e scoppia in pianto. Sopravviene dal primo uscio a destra SILVIO che, evidentemente stava alle vedette. SILVIO Livia, che cos'è? FULVIA (_subito_) Niente! niente! Piange per la partenza della zia. Bisogna assolutamente che tu la faccia restare. SILVIO Ma sì, si vedrà... FULVIA No, deve, deve restare, deve restare! SILVIO Va bene; resterà. Ma Livia sa bene (_le si accosta per abbracciarla_) che non merita questo suo pianto... LIVIA (_aggrappandosi al padre, in una convulsione d'odio e di ribrezzo_) Non piango per questo! non piango per questo! SILVIO (_con Livia sul petto, guardando severamente Fulvia_) E allora? FULVIA (_apre desolatamente le braccia, guardando come da lontano_) Io non so... Entra, dopo una breve pausa, BETTA dal primo uscio a destra, fermandosi sulla soglia. BETTA È pronto, signora! (_E si ritira_). SILVIO Su, su, Livia! Basta. Andiamo... C'è gente di là... Non è bene che sentano... LIVIA (_riprendendosi_) Sì... sì... SILVIO Asciughiamo codeste lagrime... (_S'avvia, con Livia abbracciata; poi, sollevando il capo verso Fulvia_) Andiamo... FULVIA (_riaprendo le braccia e sospirando_) Andiamo. TELA ATTO TERZO SCENA La stessa scena del secondo atto. Sei mesi dopo: di febbrajo, verso sera. Sono in iscena LIVIA e la ZIA ERNESTINA. Non sono più vestite di nero nè l'una nè l'altra. Livia è irrequieta, smaniosa. Sta seduta presso un tavolinetto, su cui stanno libri, riviste. Ne prende in mano qualcuno; lo sfoglia; lo butta. La zia Ernestina è in piedi e va di qua, di là, per riscaldarsi. La luce del giorno manca a poco a poco. ZIA ERNESTINA Pareva dovessero arrivare col buon tempo; ho paura invece che stia per guastarsi di nuovo. (_Pausa_) Brrr... fa un freddo qui... — (_Pausa_) Non ne senti tu? LIVIA (_buttando via una rivista, risponde sgarbatamente_) No! ZIA ERNESTINA Eh, beata te! (_Pausa_) (_Si stropiccia le mani_) Febbrajo, febbrajo... — Viaggiare con questo gelo, con una bambina appena nata... — (_Pausa_) Ma di', si può sapere dov'è andata Betta? LIVIA Non lo so. ZIA ERNESTINA Sono più di quattr'ore che è fuori. — Mi pare che si dovrebbe pure preparare qualche cosa per l'arrivo. Non c'è preparato niente! LIVIA (_alzandosi indignata_) È preparato tutto! (_Poi, dopo una pausa_). Potresti capire che m'indigna codesta tua premura! ZIA ERNESTINA (_con un sorriso di smorfiosa mansuetudine_) No, sai com'è? Penso che gioja fu, quando tu nascesti... LIVIA E che c'entro io? ZIA ERNESTINA Dopo tutto, è una tua sorellina... LIVIA (_con scatto irresistibile_) Stupida! Lunghissima pausa. Livia, tutta vibrante, scaraventa sul tavolino un libro, che aveva preso in mano, dopo la rivista. Si volge più d'una volta verso la zia, come per dirle qualche cosa, ma è troppo colma d'odio e di dispetto, e si trattiene. ZIA ERNESTINA (_sospirando_) Eh! — saranno guai! LIVIA È incredibile! Ma come puoi tu, tu, ricordar la mia nascita, la gioja che ne ebbe mia madre? — È incredibile! incredibile! ZIA ERNESTINA È un'altra vita che comincia... E ce n'è tanto bisogno qua! LIVIA Io aspetto ancora di sapere una cosa; e poi te la lascio qua — a te che hai fatto lega — codesta vita che comincia! ZIA ERNESTINA Aspetti? Che aspetti? LIVIA Lo so io! ZIA ERNESTINA Che gusto anche tu, adesso, a far la misteriosa! — Che intendi dire che me la lasci qua? — Te ne vorresti andare? LIVIA (_infastidita_) Oh, basta, zia Ernestina. — Non voglio parlare con te. ZIA ERNESTINA (_dopo una pausa_) Hai tuo padre, del resto, qua, che ti vuol tanto bene, e che ha tanti riguardi... LIVIA (_con violenza rabbiosa_) Basta, ti dico! — Non capisci che non posso sentirti dire così? ZIA ERNESTINA Non parlo più. (_Dopo una lunga pausa però, non sapendo resistere, ripiglia_) Ma certe idee, pure, dovresti levartele dal capo... — (_Altra pausa_) Perchè son prevenzioni, credi, prevenzioni... LIVIA (_sbuffando_) Oh Dio, ancora! ZIA ERNESTINA (_frinzelandosi_) Dici che ho fatto lega! — Ero venuta qua per te! LIVIA Per difendermi, già! ZIA ERNESTINA Per difenderti! per difenderti! LIVIA E ora difendi lei! ZIA ERNESTINA Ma non la difendo! — Sono giusta. — Vedo che sei tu! Non vuoi disarmare! LIVIA (_con scatto subitaneo, aggressiva_) Ma lo sai tu _veramente_ che donna ha portato in casa mio padre? ZIA ERNESTINA (_sbalordita_) Che... che donna? LIVIA Aspetta! aspetta! — Spero di potertelo dire tra poco! ZIA ERNESTINA (_dopo una pausa di sbalordimento: in tono di rimprovero contenuto_) Ma che pensi! che cerchi! — Statti quieta, figliuola mia; e credi che quella è una donna che ha molto sofferto... LIVIA Sofferto. Si vede dai capelli. ZIA ERNESTINA Credi... credi... — (_Con un gesto comico, pensando ai suoi capelli ritinti_) Che c'entrano i capelli! LIVIA Intanto sappiamo come l'ha portata! ZIA ERNESTINA Dio mio, l'aveva conosciuta... LIVIA (_a precipizio_) Da prima ch'io nascessi; l'aveva dimenticata; poi s'ammalò; fu chiamato; corse a salvarla... — (_s'interrompe a un tratto_) Aspetta, ti dico, che saprò dartene notizie più precise! ZIA ERNESTINA Hai chiesto forse informazioni? LIVIA Tu non t'impicciare! ZIA ERNESTINA C'è di mezzo il signor parroco? LIVIA Si vedranno, allora, i riguardi che ha avuto per me mio padre. — Già sta sempre come in agguato, con la paura che lo fa guardare continuamente davanti e dietro: — E io lo so, lo so, di che teme! ZIA ERNESTINA Tu non sai niente! Sta in apprensione per te! LIVIA Ch'io venga a sapere, sì! — In due mesi ch'è fuori, è tornato otto volte... ZIA ERNESTINA Per rivederti, e stare un giorno con te! LIVIA No, no! Per altro! — E non fa più nulla! — È una pietà, un avvilimento... per non dire un'altra cosa: a cinquant'anni, vederlo così, appresso a una donna come quella. — Perchè non la sposò prima, se è vero che la conosceva da tanto tempo? ZIA ERNESTINA Perchè forse prima non poteva. Oh bella! LIVIA Non era mica maritata, lei. Egli era vedovo... Perchè non poteva? ZIA ERNESTINA E che ne sai tu che — potendolo — non lo faceva, per esempio, per te? LIVIA Per me? — Per me, no! Per me sarebbe stato meglio, che l'avesse fatto prima, quand'ancora non capivo. ZIA ERNESTINA E sarà stato allora per altro! Non cercare! LIVIA Dici per mia madre? No! Perchè ciò che anzi mi sdegna sopratutto è che questo suo amore si vede così chiaro che lo riporta alla sua gioventù, proprio ai tempi di mia madre — come un'irriverenza tanto più cruda alla memoria di lei. Mi pare quasi che la tradisca _ora_: mi fa questa impressione; come se mia madre, dopo tredici anni, ritornasse, per questo loro amore pòstumo, viva e giovane, per soffrirne! — Per questo, per questo la odio tanto più, questa donna, quanto più la vedo, che mi vorrebbe esser materna. Mi fa schifo, orrore, come se, parlandomi, guardandomi, facesse ogni volta un tradimento a mia madre. ZIA ERNESTINA Ma che dici? che vai farneticando? O vedete un po' che pensieri in una testa di bambina, Signore Iddio! — È peccato, pensare certe cose! LIVIA Sì, sì — e quando vedrai quello che farò! ZIA ERNESTINA Ah senti: meno male che tuo padre ritorna stasera! LIVIA Portandomi la sorellina! ZIA ERNESTINA Me ne volevo andare. Mi pento di non averlo fatto! — Ma ora, subito, appena ritornano... — Che! che!... Io sono pacifica! LIVIA Come! Avrai la vita che comincia... ZIA ERNESTINA Ma io lo dicevo per te! — Che vuoi che cominci per me! Sono vecchia. — Fastidii! LIVIA Eh sì! — Comincerà anche per me, la vita... ZIA ERNESTINA (_scrollandosi_) Oh infine! Te la vedi tu! — (_Altra lunga pausa. Si reca a guardare dalla veranda nel giardino_) Ma guarda! Il cancello del giardino, di nuovo aperto! LIVIA L'avrà lasciato così il giardiniere. Sarà qui vicino. ZIA ERNESTINA Già, ma è sera, a momenti... E con questo tempo! Non c'è neanche Betta in casa... — Io ho paura. LIVIA Dici per quel signore dell'altra volta? ZIA ERNESTINA Proprio lì era — davanti al cancello — ti ricordi? LIVIA Che spiava — sì. Ma com'è che tu non lo conoscevi? ZIA ERNESTINA Io? — Ma che! — Come? LIVIA Se ti disse che aveva conosciuto la mamma! ZIA ERNESTINA Ma che! deve aver sbagliato! — Tu eri affacciata su alla finestra. Voleva far sapere che conosceva la signora e disse _la mamma_, indicando te su. LIVIA Dunque tu credi proprio che parlasse di _questa_ signora? ZIA ERNESTINA (_impressionata_) Ah, che forse le tue ricerche...? LIVIA No, no. Non ci pensavo più, se tu ora non me lo ricordavi. Ma può essere anche lui una prova. Uno che viene — chi sa da dove — a cercarla... ZIA ERNESTINA L'avrà veduta qualche volta! LIVIA Chi sa dove... ZIA ERNESTINA Ma Livia! Smetti almeno davanti a me di parlare così, perchè a' miei tempi le ragazze... LIVIA Eh via, cara zia! — Le ragazze? Davvero credi che non capisca che razza di donna dev'essere stata quella? — Con quel bel campione! Neanche un soprabito aveva... — Ti disse che sarebbe ritornato? ZIA ERNESTINA Che avrebbe aspettato il suo ritorno. LIVIA Dunque oggi! (_Quasi tra sè_) Vorrei parlargli! ZIA ERNESTINA (_dopo un momento di riflessione, decidendosi_) Senti: io vado a chiudere il cancello! (_S'avvia_). LIVIA No, zia. Lasci fuori il giardiniere? ZIA ERNESTINA Avrà la chiave! Scende dalla veranda nel giardino. Livia resta assorta a pensare. Poco dopo, la zia Ernestina rientra tutta abbrezzata dal freddo. ZIA ERNESTINA (_rientrando_) Ah, proprio si gela stasera! LIVIA (_dopo una pausa, ancora assorta_) E non ti sembra strano, che papà — risposando — abbia sentito il bisogno di venirsene qui, dove — dopo sette mesi — non conosciamo ancora nessuno? ZIA ERNESTINA Ah, questo sì! Ha scelto proprio un brutto posto, te lo dico io! Così abbandonato, fuori mano... (_dirà questo, strofinandosi le braccia con le mani incrociate sul petto, per il freddo. A un tratto, sobbalzando a un tonfo cupo improvviso, che viene dall'interno_) Oh Dio! LIVIA Che è stato? ZIA ERNESTINA Non hai inteso di là? BETTA entra dalla comune, tutta infagottata, con un vecchio cappello in capo. LIVIA (_ridendo_) Ah, è Betta! BETTA (_non comprendendo il perchè dello spavento e della risata_) Che cosa? ZIA ERNESTINA La porta... Che spavento! — (_A Betta_) — Freddo, eh? BETTA E a momenti pioverà... ZIA ERNESTINA Io sto morendo. Corro a prendermi su uno scialletto. Via per il secondo uscio a destra. Subito Betta s'accosta a Livia con aria misteriosa. BETTA (_piano, gestendo vivamente con le mani_) Chiaro come la luce del sole, sa! Non c'è più dubbio! LIVIA (_con viva ansia_) Dite, dite! BETTA Non poteva qua, non poteva senza scandalo! LIVIA È arrivata la risposta? BETTA Eh altro! — Da due giorni... Voleva venir lui stesso a comunicargliela. Ma, povero vecchio... Mi aspettava. LIVIA Ebbene? — Niente? BETTA Niente! — Nessun bando in chiesa, nè a Merate, nè a Lodi. Nessuna richiesta al municipio di stato libero! LIVIA E dunque? BETTA Chiaro come la luce del sole, che matrimonio non c'è stato. — Non è moglie! — Non sono sposati! LIVIA Ma è sicuro che l'atto di morte non poteva bastare? BETTA Sicurissimo! — Anche per i vedovi, signorina, c'è bisogno dei bandi! — Scusi, in tredici anni, non avrebbe potuto riammogliarsi, anche più di una volta? — Niente! Non sono sposati! Ne può esser sicura! LIVIA Ma sì! Dev'esser così!... BETTA E così si spiega tutto, allora — perchè sia andata a mettere al mondo così lontano la figliuola! Qua — dovendo denunziare la nascita — lei capisce, si sarebbe scoperta la magagna: che non è moglie; che quella è una bastardella qualunque... Ma lo sapremo subito, fra un pajo di giorni! LIVIA Non mi servirà più! — Mi basta questo! BETTA Ma che eran modi da signora quelli! LIVIA (_fissa in un pensiero odioso contro il padre_) Ha potuto far questo... BETTA Eh, le arti di queste donne! Si può esser sant'uomini: se ci si casca... LIVIA Ma il pudore, almeno, di non metterla accanto, sotto lo stesso tetto! Farmela chiamar mamma! BETTA Già — io non so!... LIVIA Ah — ma ora! (_Piano_) Zitta! Rientra dal secondo uscio a destra la ZIA ERNESTINA con uno scialletto di lana sulle spalle. ZIA ERNESTINA Oh, dico, bisognerà far lume qua. — S'è fatto bujo. LIVIA (_a Betta, di furia_) Andiamo su, andiamo su, Betta! Livia e Betta escono per il secondo uscio a destra. ZIA ERNESTINA (_sola, dopo averle seguite con gli occhi_) Ma che hanno? Di dove ritorna quella pettegola? — (_Sta a pensare col fiato trattenuto; poi, lasciandolo andare_) Ah, che storia! — Basta, accendiamo. Si reca presso la comune a girar la chiavetta della luce elettrica. Nel frattempo MARCO MAURI, già entrato nel giardino quando la zia Ernestina è andata a chiudere il cancello, entra per la veranda. È molto invecchiato in un anno, ma con gli occhi più che mai vivi, di quella tragica ilarità dei pazzi. È senza soprabito, e ancora con un vecchio abito estivo. Si tiene in fondo, in ombra, presso la veranda. MAURI (_appena la zia Ernestina fa lume nella scena_) Permesso? ZIA ERNESTINA (_con terrore, voltandosi, ancora con la mano sulla chiavetta della luce_) Oh Dio! Chi è? MAURI Io. Non si spaventi. ZIA ERNESTINA Entrate così, come un ladro? — Di dove siete entrato? MAURI Dal cancello, prima che lei lo richiudesse. ZIA ERNESTINA Vi tenevate dunque in agguato? MAURI I ladri, signora, non chiedono permesso, e non aspettano che si faccia lume per entrare. ZIA ERNESTINA Ma chi siete? Che volete, di nuovo qua? MAURI Le chiesi l'altra volta, se si ricorda... ZIA ERNESTINA Non sono ritornati! MAURI Lei mi disse oggi. ZIA ERNESTINA Ma non sono ritornati! E non si sa, se e quando ritorneranno. Potete dunque andare! MAURI Non s'inquieti. Vuol dire che aspetterò ancora. Tranne che lei non voglia indicarmi dove potrei andare a trovarla subito. — E credo che sarebbe meglio, perchè qua... ZIA ERNESTINA Sono in viaggio! sono in viaggio! (_Squadrandolo, incuriosita, ma sempre arcigna e sospettosa_) Ma che avete da dirle? perchè volete aspettarla? — Il vostro nome? MAURI Inutile che lo lasci a lei, il mio nome. Bisogna ch'io la veda e le parli. (_Alludendo a Fulvia_) — Mi conosce; e anche il marito. Lei forse è una parente? ZIA ERNESTINA Sì, la zia. MAURI (_guardandola male_) Di chi? ZIA ERNESTINA (_evadendo, messa in sospetto dalla domanda_) La zia della... della... cioè, prozìa, veramente — della figliuola. MAURI Prozìa paterna? ZIA ERNESTINA (_senza più riflettere; confusa_) No — materna. MAURI E allora... (_Ripigliandosi_) Ma che! — Non può essere! Ne aveva una sola! ZIA ERNESTINA (_vinta dalla curiosità — piano — ma pur senza disarmare_) Io, io — sono io! MAURI (_la guarda con occhi ìlari, tèneri, e dice piano, con gioja_) La zia Ernestina? Lei è dunque la zia Ernestina? — Fulvia credeva che lei fosse morta! ZIA ERNESTINA Piano — zitto — per carità! MAURI (_più piano, misteriosamente_) Perchè è morta lei, invece, qua? (_Ma lo dice con gioja, e si mette un dito sulla bocca, stringendo coi denti il labbro inferiore. Poi aggiunge, con un gesto allegro delle mani, come se fosse una fortuna_) Ancora morta, eh? ancora morta per la figlia? (_Trae un gran sospiro_) Ah, come sono contento! Come mi sento leggero! come mi sento leggero! — Temevo questo soltanto! Che qua si fosse chiarito... (_Subito con foga, abbracciandola_) — E allora m'ajuti, m'ajuti, zia Ernestina, lei che conosce lo strazio... ZIA ERNESTINA (_atterrita, divincolandosi_) Ma siete matto? — Io non vi conosco! MAURI No, dico lo strazio! ZIA ERNESTINA (_c. s._) Ma che strazio! Di che? MAURI Di Fulvia! di Fulvia! ZIA ERNESTINA Ma dove? — Lasciatemi! — (_svincolandosi_) grido! MAURI Se è ancora morta per la figlia! ZIA ERNESTINA Ma ne ha un'altra, ora, di figlia — tutta per sè — da un mese! MAURI (_con un gesto e con voce d'allegra noncuranza_) Non importa! Non importa! ZIA ERNESTINA Come non importa? MAURI Lo sapevo. — Non importa! — Anche con questa figlia, allora, se ne voleva venire con me! — Niente... Fu un momento! Ebbe la debolezza di cedergli. — Quello che ho passato, zia Ernestina!... Ah!... (_Strizza tutto il volto, e scuote le mani. Poi, riaprendo gli occhi, pallidissimo, ha come una vertigine e sta per cadere. — La zia Ernestina si spaventa_) Niente... niente... (_Ride_) — Penso da stamattina, come lo chiamavano gli antichi quel fiume... ZIA ERNESTINA (_trasecolata_) Che fiume? MAURI Ah sì, il Lete... Il Lete, ecco... (_Caricando il tono_) Il fiume dell'oblìo! ZIA ERNESTINA Siete ubriaco? MAURI No. Scorre veramente nelle taverne, ora, questo fiume. Ma io non bevo! — E sono tante notti, cara zia Ernestina, che non dormo più. Mi sento gli occhi, sa come? — qua, questi due archi delle ciglia — sa, gli archi di certi ponticelli che accavalcano la rena, i ciottoli d'un greto asciutto, arido, pieno di grilli? — Così! — E ce li ho qua, davvero, negli orecchi, due grilli maledetti, che stridono, stridono da farmi impazzire! — Ah, posso parlare, posso parlare, ora, davanti a lei! E parlo anche bene — no? come quand'ero in campagna, là, che m'esercitavo nell'oratoria, sperando d'esser promosso Pubblico Ministero, e imbussolavo i temi e mi mettevo a improvvisare ad alta voce, tra gli alberi: — _Signori della Corte, Signori Giurati_... — Parlo, parlo, mi scusi, perchè non posso farne a meno... Ho una smania qui, nello stomaco... Mi metterei a gridare, dalla gioja... — La vedrò! — Fulvia le ha certo parlato di me. ZIA ERNESTINA No! Mai! — Io non so chi siete! MAURI Non è possibile, scusi, che non le abbia detto che tentò d'uccidersi, or è un anno. ZIA ERNESTINA Questo sì, me lo disse. MAURI E non le parlò di me? ZIA ERNESTINA Mi parlò della vita che non poteva più tollerare! MAURI Non è vero! Fu per me! — Lo nega, lo so. — Ma fu per me! ZIA ERNESTINA (_tornando a squadrarlo, atterrita, ma pur con una certa pietà d'avvilimento_) Per voi? MAURI (_con uno scatto di sdegno_) Ma non mi guardi il vestito, mi faccia il piacere! ZIA ERNESTINA (_c. s. per rimediare_) No... vi vedo... vi vedo così... MAURI Non ho freddo! Tremo; ma non ho freddo. — Nervi! — Convulso! — Non ci penso! — Potrei guadagnare, volendo. — Non ci penso! — Da un anno, da un anno, io... (_troncando_) — È impossibile! — Bisogna finirla, in un modo qualunque. ZIA ERNESTINA Ma che volete finire più! — È finita! MAURI Ah no, sa! — Non è vero! Non può esser vero! — Ora che l'ho scovata! ZIA ERNESTINA Ma se vi dico che ora ha la sua bambina! MAURI Ma appunto per questo! Anzi! — Ora si vedrà!... ZIA ERNESTINA Siete venuto per questo? — Che intenzioni avete? MAURI Son venuto... sono venuto perchè non ne posso più! ZIA ERNESTINA Ma vi assicuro che lei non si ricorda più di voi, e potete esser certo che ora non pensa più ad altro che a sua figlia! MAURI Se fosse vero, sarebbe una disgrazia, questa. Una disgrazia, zia Ernestina, perchè ci sono anch'io! C'è, oltre la nostra, cara zia Ernestina, c'è — anche quando vorremmo che non ci fosse — c'è pure la vita degli altri! — Eh, come si fa!... Non possiamo chiuderci nella nostra vita, come se gli altri non ci fossero! — Se la mia vita è in quella di lei, e senza di lei io non posso vivere... ZIA ERNESTINA Ma nessuno ha l'obbligo... MAURI D'amare un altro per forza? Lo so! — È questa la disgrazia! — Ma allora la vita, cara zia Ernestina, s'uccide dov'è! dove uno l'ha! ZIA ERNESTINA (_con terrore_) Oh Dio! Che vorreste fare? MAURI Non lo so. — Sono qua. — Mi forzo da un anno a tentare di vivere senza di lei. Ho visto che non posso! Sopravviene a questo punto, dalla veranda, il GIARDINIERE, in gran fretta. IL GIARDINIERE (_annunziando_) — Signorina, i padroni! arrivano i padroni! ZIA ERNESTINA Dio mio — (_A Mauri_) Andate! andate, per carità! MAURI Io resto. ZIA ERNESTINA (_al giardiniere_) Andate su, Giovanni, ad avvertire! IL GIARDINIERE (_correndo verso il secondo uscio a destra_) Sissignora! sissignora! (_Esce_). ZIA ERNESTINA Vorreste fare uno scandalo al suo arrivo, davanti alla figliuola? MAURI No. Io parlerò. E dirò tutto! ZIA ERNESTINA Per carità! Voi siete pazzo! Andate! andate! MAURI Non me ne vado. ZIA ERNESTINA Vi prometto che gliene parlerò io! — Aspettate almeno fino a domani! MAURI No, questa sera. ZIA ERNESTINA Sì, va bene — questa sera — ma più tardi, quando sarà sola! MAURI Me lo promette? ZIA ERNESTINA Sì, sì — non dubitate! — Il vostro nome? MAURI Marco Mauri. ZIA ERNESTINA Ecco... ecco, arrivano! — Andate... andate di qua! Lo fa uscire per la veranda nel giardino. Entrano, poco dopo, BETTA dal secondo uscio a destra, e contemporaneamente dalla comune, in abito da viaggio, FULVIA e SILVIO, seguiti dalla BAMBINAJA, che regge su un ricco port-enfant la neonata, nascosta da un lungo velo color di rosa. FULVIA (_con un primo impulso di correre ad abbracciare la zia Ernestina, e poi trattenendosi e porgendole soltanto la mano_) Oh zia... cara signorina Ernestina! Come va?... come va? — (_Nota che Livia manca_) Eccoci finalmente di ritorno! BETTA Ben tornata, signora! Ben tornato, signor dottore! FULVIA Cara Betta... Anche voi... Tutti bene? — (_Alla bambinaja_) Sedete, sedete. — (_Le si accosta con la zia Ernestina e con Betta, e le dice, alludendo alla bambina_) Seguita a dormire? La bambinaja siede. Fulvia e le altre due le si fanno intorno. Fulvia solleva il velo, pian pianino, e mostra loro la bimba dormente. FULVIA Eccola qua! BETTA Oh com'è bella! ZIA ERNESTINA Che amore!... Come dorme! BETTA Ma come somiglia: oh — (_a zia Ernestina_) guardi, guardi, come somiglia alla signorina Livia! — Non è vero? ZIA ERNESTINA Sì, sì... FULVIA (_a Silvio_) Te lo dicevo io? BETTA Ma tal quale! ZIA ERNESTINA Tal quale! — Mi pare di rivederla... Me la ricordo proprio così! BETTA Anch'io! anch'io! FULVIA (_con un sorriso indefinibile_) Ah già, anche voi... Io certo no — ma vedo anch'io che questa le somiglia... SILVIO E Livia intanto dov'è? ZIA ERNESTINA È su. L'ho fatta avvertire... BETTA (_confusa_) Già... sì... era con me... SILVIO Andatele a dire che discenda! BETTA Ma credo che... FULVIA (_a Silvio_) Lasciala, Dio mio! — Se non vuol discendere... SILVIO Ma nient'affatto! FULVIA Può darsi che non si senta bene. BETTA S'è chiusa in camera... FULVIA Ecco, vedi? La vedremo domani. SILVIO Vado su io! FULVIA Vacci per te; ma non la forzare a discendere, se non vuole. SILVIO Va bene... va bene... (_Via per il secondo uscio a destra_). FULVIA (_a Betta_) Fatemi il piacere, Betta, accompagnate in camera la bambinaja. BETTA Subito, signora. Andiamo. FULVIA (_alla bambinaja che si alza e le passa vicino_) Piano eh? Mi raccomando! Non me la fate svegliare. BETTA Non dubiti, non dubiti... (_via con la bambinaja per il primo uscio a destra_). FULVIA (_subito abbracciando la zia Ernestina_) — Ah, zia Ernestina — hai visto? (_allude alla bambina_) Sono felice! ZIA ERNESTINA (_cercando di sottrarsi all'abbraccio_) No... senti... senti... FULVIA Che c'è? ZIA ERNESTINA C'è un guajo! c'è un guajo! FULVIA Livia? — E lasciala stare! ZIA ERNESTINA No! Uno che è venuto a cercarti. FULVIA Me? Chi? ZIA ERNESTINA Mi ha detto il nome... — È di là, in giardino! FULVIA In giardino? Lì? E chi è? A quest'ora? ZIA ERNESTINA Vuol parlarti! FULVIA Lì, nascosto? ZIA ERNESTINA È un forestiere. Non se ne voleva andare. Gli promisi che te l'avrei detto. FULVIA Ma come! Ora? ZIA ERNESTINA Più tardi... — Era venuto anche due giorni fa. FULVIA (_quasi tra sè_) Che sia ancora quel pazzo? ZIA ERNESTINA Un pazzo, sì! Pare un pazzo... Mi disse che tu, per lui... FULVIA Mauri? t'ha detto Mauri? ZIA ERNESTINA Sì... mi pare così... FULVIA E che vuole? ZIA ERNESTINA Mi pare che abbia cattive intenzioni... FULVIA Contro di me? ZIA ERNESTINA Dice che senza di te non può vivere... FULVIA Eh via! Ancora? — Gli hai detto che io...? ZIA ERNESTINA Sì, sì — della bambina! FULVIA E dunque! ZIA ERNESTINA Ma dice che non glien'importa! FULVIA È pazzo! — Niente... — non temere, zia Ernestina. ZIA ERNESTINA Ma è di là... — E se... FULVIA Questo sì, questo sì — può fare uno scandalo. — Ma com'è venuto? Come ha saputo? — Che t'ha detto? ZIA ERNESTINA Ma... — io non ci ho capito niente... Ha parlato finanche di grilli... S'è messo a predicare... Dice però così, che bisogna finirla. FULVIA Ancora? ZIA ERNESTINA Gliel'ho detto! — Ma ha minacciato! Gli ho detto... FULVIA Lascia! lascia! Temo ora qua per Livia; che senta... Ma non voglio agitarmi, non voglio agitarmi... — (_Con gioia_) L'allatto io, sai? Sopravviene dal secondo uscio a destra, SILVIO. FULVIA Oh, Silvio... SILVIO Mi ha detto che ora discende. FULVIA Livia? Ma no! Era meglio che rimanesse su! SILVIO Nient'affatto! — Lo deve anche per rispetto a me. FULVIA E l'hai costretta? SILVIO Non posso tollerare che seguiti così! Non mi ha voluto neanche aprire! Ma ha promesso infine che ora discenderà. FULVIA (_a zia Ernestina_) Cerchi, cerchi lei d'impedirlo, zia Ernestina! SILVIO Perchè? FULVIA Perchè c'è di là, in giardino, — ... quel Mauri, sai? SILVIO (_restando_) Qua — e come? FULVIA Pare che sia qua da due giorni. ZIA ERNESTINA Sì, sì. — Era venuto a domandare... SILVIO (_con viva agitazione_) E ha parlato con Livia? ZIA ERNESTINA No, no — con me! SILVIO E che vuole? FULVIA Ma, al solito! La sua pazzia! SILVIO Ancora? — Ma come ha scoperto? FULVIA Che vuoi ch'io sappia! — Va', va' — cerca di farlo andar via, prima che Livia discenda. (_Silvio s'avvia verso la veranda_). ZIA ERNESTINA No: solo, no! SILVIO (_scrollandosi e uscendo_) Ma via! ZIA ERNESTINA Da' ascolto a me: sarà meglio mandarci Giovanni! FULVIA (_irritata_) Ma no, zia! Debbono esser soli... — Mi metti in apprensione... ZIA ERNESTINA Io l'ho veduto in uno stato... FULVIA Ma piuttosto, allora, ci vado io! ZIA ERNESTINA No! Tu, no! Rientra dal secondo uscio a destra BETTA. FULVIA (_subito, a Betta_) Dov'è Giovanni? BETTA Mah... io non so... Dev'esser nel suo casotto, in giardino. ZIA ERNESTINA Ah, bene, bene, allora!... — Sarà disceso di là... BETTA Non so, signora, se debbo eseguire l'ordine che m'ha dato la signorina... FULVIA Che ordine? BETTA Vorrebbe che l'automobile... ZIA ERNESTINA Ho capito! — Se ne vuole andare! — Me l'ha detto. FULVIA Che? Se ne vuole andare? — Dove? BETTA Pare che si sia preparata... FULVIA Per andarsene? Ma che è fatto apposta, questa sera, appena arrivo? ZIA ERNESTINA No, carina mia, da un pezzo, da un pezzo si congiura qui! (_E guarda fremendo Betta_). BETTA Dice a me, signorina? ZIA ERNESTINA A voi, a voi, sì! — Col signor parroco... Non so che ambasciate... FULVIA Ma dove vuole andarsene? Perchè? BETTA Io non so... Io sono stata comandata... FULVIA Che c'entra il parroco? ZIA ERNESTINA Ci siete stata anche oggi, per più di quattr'ore! Non negate! FULVIA (_con lo sdegno di chi non vuol più darsi pena per una così palese e dura ingiustizia_) Eh, via! Se la vedrà con suo padre! — Io vado dalla mia bambina. Fa per avviarsi verso il primo uscio a destra, quando, dal secondo, appare LIVIA, pronta per partire. FULVIA (_arrestandosi_) Ma che cos'è? Che pazzie son queste, Livia? LIVIA Dov'è mio padre? FULVIA Vuoi andare? Dove vuoi andare? LIVIA Lo so io. FULVIA Ma dici sul serio? A quest'ora? — E perchè poi? — Senza nessuna ragione? LIVIA La so io, la ragione. — E dovreste saperla anche voi! FULVIA (_colpita da quel «voi», la guarda_) Ah, mi dài del voi, ora? — Per la buona accoglienza, è vero? — Ma insomma, che è accaduto qui? — Qual'è la ragione, ch'io dovrei sapere? LIVIA Io voglio parlare con mio padre! — Dov'è? FULVIA Ma ti figuri che tuo padre possa lasciarti andar via? LIVIA Non ha più nessun diritto, mio padre, di tenermi qua, accanto a voi! FULVIA Vuoi dire accanto a _me_? LIVIA No. Dico accanto a _voi_! FULVIA (_torna a guardarla; si frena_) E va bene! Di' come vuoi. — Ma perchè credi che tuo padre...? LIVIA Questo lo vedrò con lui! FULVIA Oh, insomma! sì — veditela con lui! — Sono stanca. Tu non hai neppur veduto come e con chi sono ritornata... (_Fa per avviarsi_). LIVIA Andate, sì. — Tanto meglio! Ci sarà _quella_, ora, qua, per tutti quanti. FULVIA (_con un baleno di speranza, che la decisione di Livia sia per gelosia della sorella_) Ah, per questo? — No, Livia! Tu non puoi sapere, figliuola mia, com'io, venendo, abbia desiderato di metterti accanto, nel mio cuore, a quella bambina che è di là... (_E fa per abbracciarla_). LIVIA (_con subitaneo, fierissimo moto di repulsione_) Ah no — lasciatemi — grazie! Accanto a quella, io non ci sto! FULVIA (_con uno sforzo sovrumano per dominarsi, ferendo sè stessa, pur di salvare da quella repulsione la bambina_) Tu dici per me, è vero, Livia? — Non dici per la bambina! LIVIA Ma se lo dico per voi — è anche per lei! FULVIA No — ah — no! Perchè — comunque tu pensi di me — voglia o non voglia — quella è tua sorella! LIVIA Quando lo sarà! Per ora, no. — Non è vero! FULVIA Come non è vero? LIVIA Non è vero, perchè voi non siete la moglie di mio padre! FULVIA No? E che sono? LIVIA Lo sapete meglio di me, che cosa siete! FULVIA (_di nuovo, con quel baleno di speranza_) Mi sdegni per questo? — Ah, ma se è per questo — no, Livia! — Non so come tu abbia potuto pensare... LIVIA Dove sono gli atti del vostro matrimonio? FULVIA (_rivolgendosi un po' alla zia Ernestina, un po' a Betta_) Ah, è questa la congiura? Voi due avete fatto ricerche? (_Indica Betta e Livia_). LIVIA Non ci sono! non ci sono! FULVIA (_con scatto di fierezza, per troncare_) Ci sono! — Tu hai cercato male! — Ci sono! LIVIA Non basta negare! — Se diceste dove? FULVIA Per carità, Livia, non farmi dire... — Per carità di te stessa, più che di me — non cimentarmi; te ne scongiuro. Sono veramente stanca. LIVIA No. Non c'è bisogno che diciate. A me mi basta questo. FULVIA Che ti basta? LIVIA Ma questo riconoscimento. FULVIA Quale? LIVIA Ma che nascondete cose che — _per carità di me_ — non potete dire. FULVIA Ma no! Io non nascondo nulla! LIVIA M'avete scongiurata di non farvi dire... Che cosa? Cose che riguardano me? FULVIA No — no — non dico questo... LIVIA E allora? — Cose che riguardano voi? FULVIA Me — sì... LIVIA Ma io me le immagino! FULVIA Tu non t'immagini niente! Non son cose che tu possa immaginarti! — Ed è meglio così — ti dico io stessa che è meglio così! — Lasciami star tranquilla. LIVIA Ma starete tranquilla, ora: Me ne vado! FULVIA Non puoi andartene! Non devi! Ho patito il martirio, io, un anno, qua, perchè tu restassi accanto a tuo padre almeno, poichè accanto a me non vuoi... Livia la guarda male. FULVIA (_subito, allora, correggendosi_) Non puoi, non puoi — va bene! — E non ho fatto nulla io, per costringerti, se non dimostrarti tutto l'affetto d'una _vera madre_, finchè non me ne sono astenuta, vedendo che tu non potevi rispondere a quest'affetto, e che anzi ne provavi sdegno, anzichè piacere. — Ebbene, non voglio nulla. Seguita pure a sdegnarmi. — Ma sono la moglie legittima di tuo padre. E non te lo dico per me. Te lo dico per la bambina di là — che tu perciò devi amare; anche se non ami me: _perchè è tua sorella!_ Una figlia, tal quale come te, senza nessuna differenza! — E questo anzi è bene tu lo intenda subito: — _Senza differenza!_ — Non potrei ammettere, che tu ne pensassi per lei una sola! LIVIA Tranne quella della madre, mi concederete. FULVIA (_perdendo a questo punto, alla sferzante ironia, ogni dominio di sè_) No, nemmeno questa! LIVIA (_fredda, più che mai ironica_) Come, nemmeno questa? Non siamo mica figlie della stessa madre! FULVIA Ma che credi che sia io? Che pensi tu di me? LIVIA Le stesse cose, che proprio voi stimate da nascondere. FULVIA E vorresti farle pesare su mia figlia? — Ah, no, sai! LIVIA Mia madre... FULVIA Ma che tua madre! — Finiscila! — Tu non l'hai conosciuta! LIVIA Se non l'ho conosciuta — so chi era; e so chi siete voi! FULVIA Chi sono io? (_la afferra; la scrolla, al colmo del furore_) Che puoi saperne tu? — Ah, sì? — Ne sei certa? — E non te lo leverai dalla testa? E crederai che mia figlia abbia per madre una donnaccia? Sì? sì? E io ti dico allora che anche tu sei figlia d'una tal donnaccia! LIVIA (_atterrita, inorridita_) No, no! FULVIA Sì! sì! Tal quale! Figlie della stessa madre! — E sono io tua madre! — sono io! sono io! Capisci ora? T'hanno fatto credere ch'io fossi morta? Non è vero! Eccomi qua! Sono tua madre! E quello che sono per lei, sono per te! — Senza differenza! senza differenza! — Ah, ora mi sono liberata! Ora sono viva! Dirà questo, abbandonando come morta Livia nelle braccia del padre, che alle grida è accorso in subbuglio insieme con Marco Mauri dalla veranda. SILVIO (_raccogliendosi tra le braccia Livia e stringendola a sè_) Ma tu l'hai uccisa! FULVIA La tua impostura ho uccisa! Volevi che pesasse anche sulla bambina e schiacciasse anche lei? Ebbene: No! no! SILVIO Ma tu ora non puoi stare più qui! FULVIA E me ne vado! Me ne vado, sì! Ma non più come prima! Ah, non più come prima, ora! (_A Mauri_) — La mia bambina! Vai! Di là — la mia bambina! (_indica il primo uscio a destra — e il Mauri accorre_) La mia bambina! SILVIO (_cercando di scuotere la figlia, come morta_) Livia! Livia! FULVIA (_che si sarà fatta presso il primo uscio a destra, in fremente attesa che il Mauri le rechi la bambina_) Che Livia! Me la porto via con me Livia, questa volta! Diglielo, quando rinviene! — Lei, sì — viva — e mia! — con me, viva! — Nella vita! — Alla ventura! TELA Nota del Trascrittore Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. *** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK 64291 ***